Sono ritornati nelle sale cinematografiche, in una versione restaurata, alcuni dei pochi film realizzati da quel geniale comico francese – ma anche regista, e anzi autore cinematografico – che è stato Jacques Tati. E fra gli altri: Le vacanze del signor Hulot, un film del '53, al quale però Tati continuò a lavorare, ritoccandolo, fino al '78: e il restauro ricostruisce quest'ultima versione che contiene infatti una citazione umoristica del film Lo squalo di Spielberg del '75.
Come preannuncia il titolo, protagonista del film è il signor Hulot, il personaggio interpretato da Tati che si ritroverà nei suoi film successivi. Hulot è uno spilungone, sempre elegante, dai modi cortesi, perfino cerimonioso, timido, solitario e del tutto disadattato rispetto ai diversi contesti sociali in cui in ogni film è collocato, a tal punto che la sua goffaggine, la sua inettitudine, provocano continui incidenti e piccole catastrofi.
Tali incidenti sono l'occasione di gag comiche ben congegnate. Ma la comicità nei film di Tati non è astratta e gratuita, fine a se stessa.
I suoi sono, a loro modo, film realistici (per Pasolini, anzi, che era un suo ammiratore, dei veri film politici).
Perché quella specie di alieno che è Hulot, un individuo invincibilmente chiuso in se stesso, malgrado i suoi tentativi indefessi, ma disastrosi, di rendersi utile agli altri, di essere socievole, di adeguarsi alle regole della vita collettiva, serve a evidenziare per contrasto proprio i meccanismi della vita collettiva, nelle loro assurdità e anche nella loro disumanità.
Per esempio, nel caso delle Vacanze del signor Hulot, è preso in esame il rito delle vacanze al mare. Va detto che la piccola spiaggia, l'insenatura, di Saint-Marc-sur mer su cui si affaccia l'albergo in cui convergono gran parte dei personaggi del film, è di una bellezza struggente. Così come sono belli certi quadri della circostante campagna.
E uno dei pezzi da antologia del film, è quello in cui un bambino compra al carretto dei gelati due coni, piega, tenendoli in mano, la scomoda maniglia della porta di uno stabilimento, sale una scalinata dai gradini troppo alti per lui, e infine consegna intatto al fratellino uno dei due coni, senza averne fatto cadere neanche una goccia. È un'azione che sembra una danza involontaria, ma resa senza nessuna affettazione.
La bellezza della natura e la grazia dei bambini, contrasta con le figure e i comportamenti dei villeggianti adulti, che non sono, almeno alcuni, del tutto privi di simpatia, ma il marchio della società, il senso che hanno del proprio rango, i diversi ruoli che si impongono, il conformismo, l'abitudinarietà – per la quale nella hall dell'albergo sono tutti impegnati negli stessi giochi delle carte o compiono tutti i giorni le stesse azioni – li rendono un po' simili ad automi; e allo spettatore viene da chiedersi, se alienati come appaiono, siano capaci, anche in vacanza, di autentico divertimento.
Spicca fra i villeggianti una coppia di anziani coniugi.
Lei passeggia contemplando il paesaggio, lui regolarmente la segue qualche passo indietro, come una vittima rassegnata.
È proprio quel marito che, segretamente, clandestinamente, solidarizza con Hulot (mentre gli altri, quasi tutti, lo emarginano), forse perché intravede nella sua bizzarria una libertà che a lui, prigioniero della moglie, è preclusa.
Le vacanze viste dalla luna.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 23 luglio 2016
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