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Lidia Menapace. Basi di un nuovo femminismo
22 Luglio 2016
 

Indico ciò che mi sembra utile alla definizione di un femminismo adeguato alla fase della crisi, che già ho definito come quella nella quale ha vinto il patriarcato, il che non modifica il livello di crisi in quanto il patriarcato vittorioso non è però capace di selezionare, producendola, una classe dirigente capitalistica degna di questo nome. La crisi è ora caratterizzata dalla presenza di un Pariarcato incapace di produrre una classe dirigente adeguata. Ciò accade perché la crisi del sistema ha raggiunto l'impossibilità di essere riformata. Il capitalismo dunque non è più riformabile e non basta lasciare la crisi evolversi spontaneamente perché essa da sé produce solo barbarie, se non viene attivata una alternativa. Tale alternativa deve essere capace di fermare ulteriori sviluppi della crisi e della sua forma attuale che è appunto il monoteismo culturale. Fino a qui spero seguiate, ho esposto tutto con chiarezza passo passo.

Il superamento della cultura monoteista obbliga a considerare la complessità un elemento decisivo dell'alternativa. Una cultura a base due serve per poter passare dall'uno alla infinita serie dei numeri. Il primo passo è di definire il due di genere: la donna diventa condizione di qualsiasi sviluppo culturale non monoteistico. Assumo a questo punto ciò che sulle donne ha affermato circa un anno fa il Consiglio di sicurezza delle N.U.: «le donne sono ormai stabilmente la maggioranza della popolazione del pianeta e di ogni paese che lo compone, ed occupano quasi ovunque gli strati sociali più modesti». Usando il linguaggio della cultura marxista osservo dunque che le donne sono il nuovo proletariato e che, se non si assume da parte di tutti e tutte il compito di promuoverne la presa di coscienza, il risultato sarà la formazione di un enorme sottoproletariato femminile con tutte le caratteristiche miserabili di ogni proletariato straccione (Lumpenproletariat).

Se ad esempio si fa la semplice operazione di sommare brutalmente quanti uomini e quante donne compaiano giornalmente sugli schermi televisivi o sulle pagine dei giornali, sarà evidente una sproporzione abissale: provare per credere. Dunque la democrazia della quale tanto ci vantiamo, non è affatto “rappresentativa” dei generi. Se poi si passa all'analisi dei programmi politico-sociali serali delle Tv, i cosiddetti talkshows, si vede un maschio e poi un altro e poi i prossimi due e via così: che goduria! siccome tra l'altro oltre che ingiusti e prepotenti non sono nemmeno dei geni da far restare a bocca aperta, in visibilio ad ascoltare estasiati, bisognerà trovare come obbligarli a farsi un bel po' più in là. Alla prossima!

 

Lidia Menapace


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