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Nikla Cingolani. Fermo: un paese in lutto
14 Luglio 2016
   

Lo scrittore nigeriano Wole Soyinka, “spirito yoruba” e premio Nobel per la Letteratura 1986, credeva che il ventunesimo secolo fosse definito dall’impegno che avrebbe dedicato alla dignità e alla sacralità di ogni vita umana. Parole che stentano ad avverarsi poiché ogni giorno che passa si assiste, invece, all’imbruttimento dell’individuo e di interi popoli. Emmanuel Chidi Nnamdi è stato ucciso martedì scorso nel centro della città di Fermo, dall’ultrà Amedeo Mancini conosciuto come un “attaccabrighe” e con tre Daspo alle spalle. Il nigeriano, dopo aver sentito chiamare la sua donna “Scimmia africana”, ha reagito senza tener conto della feroce controreazione di Mancini il quale lo ha colpito con la bruta violenza, razzista e xenofoba, di chi professa l’intolleranza e non sa vivere in pace nemmeno con se stesso. Entrato in coma, morirà in ospedale qualche ora dopo. In momenti come questi c’è da chiedersi se nel concetto di umanità, trovano pieno riconoscimento eguaglianza, rispetto e solidarietà, e se la dignità è solo una cosa astratta che non ha niente a che fare con la realtà. Domenica ai funerali erano presenti in prima fila le istituzioni e i rappresentanti della politica. La loro partecipazione attiverà le questioni irrisolte delle iniziative legislative contro la discriminazione razziale? A giugno di quest’anno il rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) sulla situazione italiana, ha evidenziato le carenze dello Stato nel perseguire i discorsi di odio e violenza razzista. Ora, i nostri governanti procederanno alla discussione di leggi sull’antidiscriminazione? Cercheranno di combattere gli hate crimes con l’applicazione di pene efficaci? Se non si metteranno al lavoro, la loro presenza a questo funerale sarà considerata davvero un’inutile passerella.

Martedì 12 luglio il sindaco di Fermo Paolo Calcinaro ha indetto il lutto cittadino con bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici e l’osservanza di un minuto di silenzio. La città si è stretta intorno a Chiniery, la giovane moglie/vedova di Emmanuel. Le parole di Chiniery pronunciate con la voce rotta dal pianto durante la veglia, dopo il canto nigeriano dedicato a suo marito, risuonano con la forza travolgente di un pugno allo stomaco.

Dio, perché mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza Emmanuel?

per me è molto doloroso stare da sola

perché stare da sola è come uccidere la mia vita

sarebbe meglio per me perdere la vita piuttosto che non stare insieme a lui.

In quel suo lamento funebre si poteva ascoltare la Nigeria e l’Africa tutta, che accompagnava Emmanuel nel suo ultimo viaggio. Poi, distrutta dal dolore, ha minacciato di commettere l’ultimo atto violento contro se stessa per farla finita. Prima di Emmanuel, Chiniery ha perduto la famiglia e i loro due figli, uno durante l’assalto di una chiesa per mano dei terroristi di Boko Haram, l’altro ancora in grembo, morto durante il viaggio della speranza per lo stress subito a causa di violenze e maltrattamenti da parte dei trafficanti. Fuggivano dalla Nigeria, uno stato distrutto dalla corruzione e dall’inquinamento ambientale dove le multinazionali del petrolio non si curano minimamente dei numerosi “incidenti” di riversamenti di petrolio nei terreni e nelle acque del Delta del Niger. Società e aziende senz’anima, hanno costretto gli abitanti ad abbandonare le zone rurali ormai contaminate da diossina, benzene, solfuri e altre sostanze tossiche. La coppia scappava da quell’inferno, dalla povertà e dall’umiliazione, per affrontare insieme un nuovo progetto di vita. Quella vita che è rimasta solo a lei e che ora sembra non volere più, ma che dovrà affrontare in nome della sua famiglia per portarne avanti il ricordo. In queste ultime ore Chiniery rischia l’incriminazione per calunnia circa la propria versione dei fatti sulla dinamica dell’omicidio che non concorda con quella dei testimoni, ma questo non cambia il fatto di aver dovuto subire un insulto razzista senza nessuna motivazione.

In questo momento di dolore condiviso, l’arte, per il suo effetto placebo, può mitigare le emozioni e aiutarci, anche se per pochi istanti, più di ogni parola ad affrontare il vuoto lasciato dalla vita di una persona per riflettere su questi argomenti. Le celebri silhouettes dell’artista afro-americana Kara Walker formano immagini che denunciano situazioni di schiavitù, sopraffazioni, pregiudizi e uccisioni in nome della razza. “Pittrice, donna e nera”, così si autodefinisce, da anni lotta in prima linea contro le ingiustizie che i neri ancora oggi subiscono, denunciando gli stereotipi razziali del “negro” com’è stato definito nella cultura europea. Una delle sue ultime opere è la monumentale sfinge di zucchero installata presso la Domino Sugar Factory di New York. La scultura appare come una maestosa creatura, mitologica ed enigmatica, ritratta nella stessa posa della Sfinge di Giza, con le sembianze di una Mami e il viso uguale a quello dell’artista. La donna “nera” incarnata nel “bianco” di un materiale dolce, ma solo nel sapore, sembra rappresentare la Grande Madre Africa, culla di tutta l’umanità, e simbolica guardiana delle immense necropoli disseminate nel mondo dove tutti i suoi figli, di ogni razza, sono seppelliti.

 

Nikla Cingolani


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