– Quando crede che il progetto del Memoriale sarà completato e sarà operativo?
Abbiamo effettuato una gara d'appalto integrato che prevede, a carico della ditta, la realizzazione del progetto esecutivo entro l'autunno 2016 con l'obiettivo di andare in cantiere entro fine anno e di arrivare all'inaugurazione a metà giugno 2018, in occasione della ricorrenza della Battaglia del Solstizio che si sviluppò proprio sul Montello e fu decisiva per le sorti della guerra sul fronte italiano.
– Lei è stato obiettore di coscienza ed è antimilitarista. Il progetto del Memoriale è in armonia con il suo antimilitarismo?
Assolutamente sì. Non nasce per celebrare una vittoria, ma per commemorare una tragedia che ha segnato profondamente e irreversibilmente la storia dell'umanità. Si tratta, da un lato di rendere l'onore della memoria al sacrificio di milioni di persone e, dall'altro lato, di demistificare la retorica che ovunque, ma soprattutto in Italia e in particolare in età fascista, è stata edificata per coprire la reale natura del primo conflitto tecnologico dell'età moderna che ha irreversibilmente modificato, in maniera imprevista, il concetto millenario di arte della guerra. Infatti, se prima, con calcolo cinico, era possibile concepire i conflitti fra le nazioni come strumenti utili alla risoluzione delle tensioni interne ed esterne, il dispiegamento degli arsenali contemporanei rende obsoleta tale visione. Ne Il nomos della terra Carl Schmitt, il giurista del Terzo Reich, filosofo dall'intelligenza luciferina, chiude il suo capolavoro con una frase in apparenza di grande sensibilità, ovverosia che il futuro, se vi sarà, apparterrà agli uomini di pace; in realtà è una fredda e lucida considerazione sull'insostenibilità di una terza Guerra Mondiale che sarebbe di annientamento globale.
– Crede che il Memoriale racconterà anche l’abbandono di Montebelluna, la fame di Pederobba e le fucilazioni di Nervesa?
Il Memoriale dovrà raccontare anche e soprattutto lo squallore del conflitto. Certamente si occuperà anche delle popolazioni e dei territori coinvolti negli scenari bellici poiché la tragedia vissuta dai civili dischiude un modo diverso e 'terapeutico' per interpretare la guerra. C'è, all'interno di ciascuno di noi, una componente aggressiva insita nella nostra eredità ancestrale che ci porta ad essere affascinati dalla sintassi della guerra, cioè dal suo movimento: attacchi, contrattacchi, strategie, atti di eroismo ecc., peccato che la semantica sia di uno squallore enorme: ferite atroci, morti, famiglie in lutto, ossa da recuperare per i sacrari, mutilati, bambini uccisi, donne violentate, paesi incendiati, morti per fame ecc. Quando i venti di guerra cessano rimane il tanfo dei cimiteri ed è questo orrore che la memoria ad uso pubblico tende ad ottundere nella percezione generale, cercando di dare un senso postumo, attraverso motivazioni più o meno nobili, alla morte e al dolore di troppe persone. In realtà il risultato è quello di allontanare l'attenzione dai giochi di potere di élite irresponsabili. Il nostro scrittore Comisso, dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, durante la seconda definì con ironico e amaro ossimoro “criminali ingenui” coloro che decidono di portare le nazioni in guerra.
– Non pensa che la Grande Guerra più che altre considerazioni abbia significato la fine di un periodo di connivenza civile in Europa e la preparazione di altre tragedie come il nazifascismo e la seconda guerra mondiale?
Oggi, molti studiosi convengono nel ritenere che nella prima metà del '900 non ci siano state due guerre mondiali, bensì un unico grande conflitto, con una tregua in mezzo.
Credo abbia ragione Guido Ceronetti quando in un suo recente articolo apparso sul Corriere della Sera, afferma che la Grande Guerra non è mai veramente finita. In effetti è stato un terremoto le cui onde arrivano fino al presente. Quando accendiamo la televisione e vediamo i conflitti nel Medio Oriente dobbiamo ricordarci che quei disordini sono dovuti, in quota parte, agli accordi di pace sbagliati stipulati alla fine della seconda guerra mondiale che fu, a sua volta, figlia degli accordi di pace ingiusti sottoscritti alla fine del primo conflitto mondiale. I filosofi usano un termine per descrivere l'epoca inaugurata dalla Grande Guerra: il dominio della tecnica. L'espressione indica il fatto che, già dopo i primi mesi dall'inizio del conflitto, le sorti del medesimo non erano più riposte nelle mani di chi l'aveva promosso, bensì nella potenza degli apparati produttivi e degli arsenali: avrebbe vinto chi avesse mandato più pezzi di ricambio meccanici e biologici al fronte. Questa perdita di ruolo della soggettività umana rispetto agli apparati burocratici e tecnici non è forse un lascito ancora attivo nella nostra società contemporanea? Pensiamoci: viviamo in un'epoca in cui persino i fondi sovrani degli Stati possono essere aggrediti dalla speculazione finanziaria di fondi privati fuori del controllo delle democrazie contemporanee.
Il Memoriale non nasce per parlare del passato, ma per offrire gli strumenti per meglio interpretare il presente che è segnato da profonde ingiustizie su scala planetaria che alimentano quel network definito terrorismo. La verità è che, come ha ben detto Ceronetti, la prima Guerra Mondiale è stata una guerra escatologica, cioè che ha cambiato il corso della storia umana e il suo destino. Essa non ha messo fine al pacifico ordine ottocentesco, ne ha solo portato a compimento le contraddizioni interne. La grande domanda a cui nessuno ha una risposta è se fosse o meno evitabile.