La lotta al terrorismo è innanzitutto una contrapposizione di valori e senza dubbio, in questo come in altri conflitti storici, l'occidente democratico ne costituisce la parte più evoluta nello sviluppo di diritti e libertà. Ma non sempre ai principi fondamentali seguono i comportamenti e la sostanza, a volte, smentisce la forma.
Presso gli organi dell'ONU e dell'Unione Europea sono depositate decine di mozioni contro la piaga del lavoro minorile in Bangladesh, uno dei paesi al mondo che ne è più colpito. Bambini costretti nelle fabbriche perché le loro piccole manine riescono in gesti artigianali impossibili per gli adulti. In tutto ciò le responsabilità di genitori, autorità e comunità locali sono lampanti, ma non si dimentichi che più di una volta ad impiegare quella manodopera sono le imprese occidentali. Neppure l'Italia ne esce pulita e solo pochi anni fa, proprio a Dacca, un grande marchio del nostro manifatturiero, noto nel mondo per le campagne pubblicitarie dal volto umanitario, fu al centro di un imbarazzante scandalo da cui ne uscì limitandosi a smentire le accuse.
Non c'è motivo di dubitare che gli imprenditori italiani e non, vittime dell'orrore di venerdì scorso, fossero stati fulgidi esempi di onestà, dimostrazione pratica di come si possa coniugare profitto e legalità, anzi dignità umana, anche a migliaia di chilometri dal proprio guscio familiare. Ma l'odio rende ciechi e non fa discernere tra l'uomo giusto e quello ingiusto. Porta a sparare nel mucchio e non sorprende più di tanto che gli attentatori stavolta fossero ragazzi di buona famiglia, coordinati magari dal loro professore universitario. Non dovrebbe sorprendere soprattutto noi italiani, è una storia che conosciamo molto, molto bene.
A monte della scelta di progettare e realizzare un siffatto piano di morte, l'ideologia è l'ingrediente che amalgama un impasto di rancore, senso di ingiustizia e impotenza, germogliato dalla realtà e non c'è arma che possa distruggerne le radici.
Marco Lombardi