Almeno 200 persone, tra cui 25 bambini, sono rimaste uccise domenica nella martoriata capitale irachena, Baghdad, a causa di una duplice esplosione in pieno centro. Si contano oltre 300 feriti tra i civili che in quelle ore affollavano la zona commerciale per fare acquisti in occasione di Eid al Futur, la festa per la fine del digiuno, paragonabile per importanza al Natale cristiano.
L’ennesimo vile e brutale attentato contro civili inermi, prontamente rivendicato dai criminali dell’Isis. È il più sanguinoso atto di sangue dall’inizio dell’anno, in un Paese che da quasi trent’anni non conosce un solo giorno di pace. I bambini, le donne, i giovani e gli anziani iracheni sembrano non avere diritto di essere felici, nemmeno il giorno della vigilia. La mano criminale che si è allungata su Baghdad ha provocato una strage sanguinosa di proporzioni immani. Quelle vittime, quegli innocenti, non sono l'“effetto collaterale” di una guerra, la loro morte non deve apparire ai nostri occhi come un qualcosa di “normale” solo perché l’Iraq non è nuovo agli attentati. Tutti quegli esseri umani privati della loro vita, che si trovavano in quella zona per preparasi a un giorno che avrebbe dovuto essere di festa, meritano la stessa empatia e la stessa pietà che proviamo di fronte alle vittime di ogni azione disumana, di ogni atto terroristico.
L’Iraq ha pagato, dal 1991 a oggi, un tributo di sangue pesantissimo, con oltre 1 milione di morti, uccisi da una guerra infame con cui si “esportava la democrazia” e si puniva il dittatore Saddam per le sue malefatte e per le sue armi chimiche (mai trovate). Menzogne su menzogne che hanno portato alla distruzione di un Paese che è stato culla della civiltà mediorientale e mediterranea, che ha dato un contributo alle scienze, all’arte, alla letteratura impareggiabile e che oggi è ancora ostaggio della violenza che genera violenza, di ingiustizie che trascinano altre ingiustizie, di un orrore che sembra non avere mai fine.
L’Iraq è uno degli esempi più significativi delle conseguenze nefaste delle guerre, che distruggono interi Paesi, sterminano popoli inermi e creano l’humus ideale per il proliferare di organizzazioni e gruppi estremisti e terroristi. Non va dimenticato che criminali del calibro di Al Baghdady sono stati formati e istruiti al crimine proprio nelle carceri irachene.
Gli iracheni nati dagli anni ’90 in poi non hanno vissuto un solo giorno di vita vera; le loro esistenze sono state scandite da bombe, esecuzioni, stupri, fughe di massa, torture. In Iraq è stato ucciso il Diritto internazionale e in nome di evidenti interessi economici internazionali, il Paese continua ad essere nelle mire di diversi attori internazionali. A pagare il prezzo più alto, inutile dirlo, sono sempre i più indifesi, coloro che si illudono che anche chi vive a Baghdad abbia ancora diritto a un giorno di Eid, un un giorno di festa.
L’Iraq è una ferita che ha segnato la mia generazione, così come il Vietnam ha segnato la generazione che ci ha preceduto. Questo nuovo, terrificante attentato, aggiunge dolore al dolore, pietà per le vittime, pena profonda per i milioni di profughi che ogni notte sognano di tornare in un Paese che sembra non esistere più.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 4 luglio 2016)