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Francesco Cecchini. Cosa sta succedendo a Falluja, a Mosul e in Italia
Falluja, presa (immagine da sito web ‘Gli Occhi Della Guerra’)
Falluja, presa (immagine da sito web ‘Gli Occhi Della Guerra’) 
03 Luglio 2016
 

FALLUJA.

Falluja, la città irachena a cinquanta chilometri a ovest di Baghdad. Pochi giorni fa aerei degli Stati Uniti hanno compiuto una fitta serie di attacchi contro un convoglio del Califfato o Stato islamico di una quarantina di veicoli che stava trasportando uomini e armi fuori dalla città. Sarebbero morti circa 250 soldati del Califfato.

Nel centro di Falluja il primo ministro iracheno Haydar al-'Abadi ha annunciato trionfalmente la vittoria. L’avanzata su Falluja dell’esercito iracheno, aiutato dagli aerei della Coalizione, è stata rapida: cinque settimane, dopo due anni di pratico stallo. Nel gennaio 2014, la città cadde per in mano all’Isis o Daesh, che dopo sei mesi avrebbe proclamato il Califfato. Il ministero della difesa iracheno ha postato su you tube un video dell’attacco aereo al convoglio militare.

Un’ipotesi che circola anche basata sull’attacco aereo è che il Califfato a Falluja non è stato completamente sconfitto, ma ha deciso una ritirata strategica. Succede anche altrove. In Libia, per esempio. I miliziani islamisti preferiscono a uno scontro diretto e perdente il ritiro, il disperdersi nei territori e la riorganizzazione. A tutto ciò si aggiunge il problema della futura amministrazione di Falluja. Un piano per ricostruire un sistema amministrativo richiederà molto tempo e molti sforzi. Il cuore del problema è lo stesso che in tutto l’Iraq: il confronto, anche violento tra gruppi etnico-religiosi. Falluja è sunnita e non ha fatto resistenza alla conquista dell’Isis, gruppo radicale sunnita, anzi. È prevedibile che vi sarà violenza dei liberatori sciti nei confronti della popolazione scita. L’esercito iracheno è appoggiato da milizie scite, Badr Organization, Kataib, etc. etc., i cui miliziani armati e ora sono in città. Già circolano notizie di abusi sulla popolazione civile scita.

 

DIGA DI MOSUL.

In questa situazione, in difficoltà militare sia in Siria che in Iraq è facile prevedere che l’interesse del Califfo per la diga di Mosul può aumentare. Anche nel quadro di un cambio della sua strategia.

Il crollo della diga di Mosul farebbe circa 2 milioni di morti annegati e sommergerebbe Baghdad. Per il Califfo, insomma può essere un'arma di distruzione di massa, non difficile da usare. L’instabilità strutturale della diga (La diga ha sofferto fin dall’inizio problemi, che resero, quasi immediatamente, necessarie iniezioni di cemento micro fine. Una stima parla di circa 90 milioni di chili di cemento iniettato che però furono inefficaci e non hanno risolto il problema. Anzi sembra abbiano causato ulteriori deterioramenti agli strati di gesso carsico di fondazioni e alla struttura. Le continue iniezioni di cemento hanno fatto si che le aperture nel gesso si aprissero sempre più, lasciando cavità al posto del dissolto gesso, movimenti di ingenti quantità di cemento e in superfice sussidenze tutt’intorno alla diga.) renderebbe facile a un gruppo terrorista di provocare il crollo. Basterebbero piccole esplosioni. I punti a favore del Califfo sarebbero vari. L’inondazione colpirebbe oltre i civili le forze avversarie. I soccorsi alle popolazioni creerebbe un diversivo al confronto militare con il Califfo. Per non parlare della visualità mediatica.

La diga di Mosul è stata conquistata nel 2014 dall’ISIS e poi liberata dai peshmerga curdi, ma dalla liberazione non sono mancati attacchi da parte degli islamisti. Il controllo delle dighe più importanti di Siria e Iraq è sempre stato importante per il Califfato. Tra le prime conquiste, agli inizi del 2013, vi fu la diga siriana di Tabqa, sull’Eufrate, poco dopo il confine turco. Tabqa è la più grande diga di terra del mondo ed è la principale fonte di acqua dolce ed energia per 5 milioni di persone, compresi gli abitanti di Aleppo.

Le dighe sono state usate dal Califfato come armi contro la popolazione, tagliando acqua ed energia. o come merce di scambio per rifornimenti o prigionieri negli assedi di Der er-Zor e Aleppo.

 

ITALIA.

In Italia il Senato ha appena approvato il decreto missioni militari. Sono oltre 1,2 i miliardi stanziati dal decreto di proroga delle missioni internazionali, approvato in prima lettura dall’aula del Senato. Il decreto, in scadenza il 15 luglio, dovrà ora essere esaminato dalla Camera. Le principali modifiche apportate nel corso di questo passaggio parlamentare hanno riguardato la missione italiana a protezione della diga di Mosul, per cui un emendamento del governo approvato ha stanziato altri 17,5 milioni per l’arrivo di 450/500 uomini.

La Lega Nord, durante la discussione del Decreto legge sulla proroga delle missioni internazionali che si è tenuta martedì in Senato, ha criticato duramente la missione italiana a difesa della diga di Mosul, in Iraq, nel cui cantiere è impegnata la Trevi di Cesena per eseguire i lavori di consolidamento della struttura. A criticare lo schieramento del contingente italiano è stato il senatore Sergio Divina. «Qualcuno ci deve spiegare perché dobbiamo mandare 400 militari a Mosul, a protezione della diga, a protezione di un intervento privato. La Trevi di Cesena ha vinto un appalto di oltre 270 milioni, chiaramente in una zona ad alto rischio: ora dovrà fare i conti con i rischi, con le assicurazioni dei propri dipendenti e con la messa in sicurezza dei cantieri. Perché i cittadini italiani dovrebbero pagare questo tipo di garanzia ad una ditta, Trevi o non Trevi?» Il contratto tra il governo iracheno e Trevi, firmato il 2 marzo, ammonta a 273 milioni di euro, che Baghdad ha ottenuto in prestito dalla Banca Mondiale.

I lavori, della durata di 18 mesi (ma non è ancora chiara la data di inizio), consisteranno nel consolidamento delle fondamenta con iniezioni di cemento e nella riparazione di una delle due 'saracinesche' di scarico che servono per regolare il livello dell'acqua nel bacino.

Quando le truppe italiane arriveranno saranno responsabili per la sicurezza della diga, così non ci sarà nessuna controversia su chi è responsabile. Sembra che nessun altra forza politica si sia espressa contro l’aumento delle spese militari e l’intervento militare a protezione dell’impresa Trevi quando la stessa lavorerà nella diga. Significative le dichiarazioni della senatrice Valdinosi del Partito Democratico: «Le missioni internazionali testimoniano l’impegno di un grande Paese come l’Italia per stabilizzare le aree di crisi e riportare la pace anche nelle zone più conflittuali del mondo. La diga di Mosul è un punto strategico nello scacchiere iracheno, sorge vicino a regioni dove è purtroppo presente l’Isis, e nella malaugurata ipotesi di un suo crollo, secondo una proiezione delle Nazioni Unite, si verificherebbe una catastrofe con centinaia di migliaia di vittime e resterebbero senza risorse idriche circa 200 milioni di persone. È facile capire come per il terrorismo questa possa rappresentare un obiettivo».

La senatrice Valdinosi sostiene l’avventura militare di Matteo Renzi, senza tener conto, tra l’altro, che:

- le risorse idriche per le popolazioni possono essere compensate con il completamento di una diga a valle di Mosul;

- i rischi di crollo della diga di Mosul possono essere eliminati con lo svuotamento parziale dell’invaso;

- le posizioni contraddittorie del governo iracheno. L’esecutivo di Baghdad è una realtà politica eterogenea, dove non mancano scontri e divergenze interne. A dicembre, il ministro delle Risorse idriche, Mohsin Shammari, aveva affermato che «L’Iraq non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora».

All’invio dei militari italiani si era opposto anche il leader radicale sciita Moqtada Sadr, già protagonista negli anni scorsi dell’insurrezione armata contro le truppe Usa.

 

Francesco Cecchini


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