Un nuovo testo poetico di Lucia Boni (foto) ci porta all'interno dell'officina dell'artista. Il titolo è abbastanza criptico: Lembi e le sette chiese. Il testo ha un'amabilissima prefazione di Carlo Bassi e una sapiente postfazione di Piero Sacchetto. L'autrice, reduce dal successo del premio Niccolini per la prosa, in questa nuova opera gioca tra il senso del termine “lembo” e la definizione allargata della parola “chiesa”. Va subito detto che il “lembo” di spazio che descrive non è Ferrara (eppure ci sono parlanti un ferrarese colto o il dialettale “masegna”) ma un qualsiasi luogo, che abbia una sua vita, una sua storia, che evochi memorie ed alla fine sappia sviluppare un sentire più intimo.
È quella di Lucia una poesia molto peculiare. Si fonda da un lato sul complesso trattamento fonico delle parole e dall'altro sulla loro pregnanza semantica. Anche il lettore viene coinvolto in una duplice azione: leggere visivamente il testo e al contempo, se lo vuole, leggere ad alta voce i versi. È evidente allora nella materia del codice scritto l'intermittenza della creazione, la pausa di riflessione, la marca tipografica o la frattura del verso. Lucia scrive le sua poesie con la penna stilografica con la stessa intenzione creativa con la quale un disegnatore disegna sulla carta. La lettura ad alta voce ripropone il testo in una sua oralità meno tormentata e più consonante. Le parole quali messaggeri di sensazioni differenti entrano in contatto con vissuti personali, con flussi di pensieri e di affetti, rivelano quel lato “non dicibile “ che le parole si portano appresso. È un affascinante amalgama di pulsioni di stimolazioni di risorse da riconoscere, decifrare e, alla fine, da conquistare quali lembi di percezioni, di interiorizzazioni e di innamoramenti.
Il lettore viene continuamente coinvolto in un lavoro di lettura a più livelli, il molto citato Gaston Bachelard de La poetica dello spazio è più operativo nel testo con La poetica della rêverie. La versificazione si dipana tra la ricerca di una realtà urbana riconoscibile ma non unica, come si diceva, ed uno spazio interiore in cui si adunano altre presenze fisiche e mentali. In queste “sette chiese” si radunano cose della vita, della natura, della quotidianità, dei pensati più intimi e segreti. Eppure in tutto questo Lucia dimostra un pudore e una volontà di tenersi a distanza da un materiale magmatico tanto coinvolgente. Il suo lavoro poetico punta piuttosto a liberare il mondo immaginale da ogni forma di sapere per restituire l'arte al dominio dell'apparenza, per riportaci “all'origine dell'essere parlante” e rivelare, come dice Bassi nella prefazione, una “straodinaria fiducia nella poesia”.
Gianni Cerioli
Lucia Boni, Lembi e le sette chiese
La Carmelina Edizioni, Ferrara 2016, pp. 136, € 10,00