Nel mare magnum di questioni difficili aperte dalla Brexit, sta appassionando in Italia la polemica sull’uso e abuso degli strumenti di democrazia diretta. Da più parti è stato stigmatizzato l’azzardo di Cameron – per codardia o per maldestro calcolo elettoralistico – di lasciar decidere le sorti di una nazione, e quindi di un continente, alla pancia in disordine, più che alla testa, di una fetta della popolazione impaurita dall’incertezze del futuro e probabilmente anche in buona parte senza i minimi elementi per comprendere, nel bene o nel male, la reale posta in gioco: si è parlato in modo sprezzante di vecchi, poveri e ignoranti che avrebbero infranto il sogno giovanile della generazione Erasmus e cosmopolita del Regno Unito.
Per contro, i paladini, o presunti tali, del suffragio universale e diretto hanno messo in guardia da quelli che parlano di populismo solo quando la volontà popolare si esprime in senso a loro contrario. Secondo il movimento, che almeno a parole (nei fatto ci sarebbe molto da discutere) ha fatto finora della consultazione web all’acqua di rose un modus operandi imprescindibile e si candida a cavalcare l’onda anomala che arriva dalla Manica, la verità sta nel fatto – come scrive Alessandro Di Battista su Fb – che «certi personaggi detestano la democrazia diretta», perché «temono popoli informati capaci di prendere decisioni. Temono cittadini nelle istituzioni. Temono la sovranità nazionale, alimentare, dell'informazione. Temono di diventare inutili come inutile e dannosa è la dittatura dell'intermediazione».
Ecco, il grillino campione mondiale di bufale parla di dittatura dei corpi intermedi a fronte della presunta democrazia dei cittadini, definiti “capaci e informati”, trascurando però il dettaglio che proprio sulla parola “informati” può cascare il proverbiale asino, in un'epoca in cui la facilità d’accesso alle notizie, vere o false che siano, è direttamente proporzionale alla possibilità che l’imbecillità dilaghi e si moltiplichi incontrollata attraverso i social network e i nuovi media.
In un articolo del Washington post ci si chiedeva se sia giusto far votare gli ignoranti o se non sia piuttosto opportuno fa sostenere una sorte di esame di educazione civica per l’abilitazione al voto. La provocazione del giornale americano ha fatto storcere il naso ai campioni vecchi e nuovi di democrazia, ma ha posto un problema da non sottovalutare, che non può essere liquidato solo a colpi di indignazione da maestri del pensiero liberale e democratico.
Non si tratta di mettere più o meno in discussione il diritto del popolo di esprimersi attraverso lo strumento democratico per antonomasia. Piuttosto bisogna chiedersi effettivamente quanto ognuno di noi, sempre più indotto a scegliere tra Gesù e Barabba, sia messo nelle condizioni di farlo in scienza e coscienza.
Bisogna prendere atto che le consultazioni referendarie, quanto più si riferiscono a temi complessi e di non facile comprensione, tanto più sono condizionate nell’esito dalla forza propagandistica dell’una o dell’altra parte. Si pensi proprio a quanto è accaduto con la Brexit e alla campagna elettorale spregiudicata condotta in molti casi a colpi di promesse campate in aria, poi rimangiate un minuto dopo il voto, come ci insegna Farage sui milioni di euro elargiti fin qui alla Ue, da dirottare con la Brexit sul servizio sanitario. Dopo di che, ci si chieda quanti sono stati i sudditi di Sua Maestà britannica sedotti dalla faccia di bronzo e dal tono di voce di mister Bean dell’eroe antisistema dell’impero decaduto. Lo stesso discorso, intendiamoci, potrebbe valere in senso opposto per chi invece ha sposato le tesi del remain, magari solo sulla fiducia in chi fra i personaggi pubblici la caldeggiava non si sa con quale livello di consapevolezza.
Ce ne è abbastanza, insomma, per richiamare l’annosa questione – sottolineata anche su queste pagine da Luigi O. Rintallo – del “conoscere per deliberare”, dal quale è facile trovare un collegamento con l’ultima intuizione di Marco Pannella: quel diritto umano alla conoscenza, che nella sua apparente astrattezza elitaria diventa di colpo attuale, meno astruso e più concreto, oggi con la vicenda Brexit, domani – chissà – con altri voti mondiali scottanti già in calendario.
Antonio Marulo
(da Agenzia Radicale, 28/06/2016)