Fredrik Sjöberg
L’arte di collezionare mosche
Traduzione dallo svedese di Fulvio Ferrari
Iperborea, 2015, pp. 224, € 16,00
Quando si finisce di leggere L’arte di collezionare mosche, di Fredrik Sjöberg, scrittore, entomologo, collezionista e giornalista culturale svedese, si è tentati di guardare con attenzione diversa la mosca comune che è entrata dalla finestra. Ma in realtà è questione solo di un attimo, poi, o la rispediamo fuori, o cerchiamo di eliminarla. Invece c’è chi le studia, le mosche, e ne fa collezioni importanti, tante sono le varietà che si distinguono per caratteristiche diverse. Insetti interessanti agli occhi di questo collezionista e scrittore che, dopo gli studi di biologia e tanti viaggi, da più di trent’anni vive con la famiglia in un’isoletta a pochi chilometri da Stoccolma, un vero paradiso dove continua la sua caccia ed i suoi appostamenti. «Sulla terra» scrive «esistono milioni e milioni di specie di insetti. Di queste, centinaia di migliaia appartengono al multiforme ordine delle mosche, i ditteri. Mosche domestiche, emididi, mosche predatrici, sirfidi, conopidi, mosche soldato, acroceridi, ulididae, moscerini della frutta, mosche della carne, calliforidi, mosche cavalline, foridi, efidridi, ippoboscidi, mosche gialle, cenomie… E se ne scoprono sempre di nuove». Lui si interessa esclusivamente alle sirfidi, di cui gli scienziati conoscono un po’ più di cinquemila specie, 368 scoperte finora in Svezia. Perché proprio le sirfidi? «Perché sono bestiole miti, facili da collezionare e che si presentano sotto molti travestimenti. A volte non sembrano neanche mosche».
Sjöberg racconta con lieve autorironia e conosce la misura giusta per ironizzare sugli altri. Definisce bottonologi coloro che si dedicano alla scienza del futile: «bottonologia si chiama la scienza del futile, un termine irriverente ma corretto. L’uomo che amava le isole -con riferimento all’omonimo libro di Lawrence- è essenzialmente, in quanto collezionista, un tipico bottonologo. Stila cataloghi». Ricorda comunque che è stato August Strindberg a coniare questo termine, quando era infuriato e voleva esprimere un’ingiuria.
Lui spiega che ci sono varie ragioni per cui si può fare questo tipo di collezionismo, prima di tutto si fa per il piacere, poi esistono ragioni scientifiche e di politica ambientale, perché lo sfruttamento e la distruzione dell’ambiente provocano effetti devastanti anche sul più piccolo insetto, terzo motivo è la solitudine, che induce ad inventare ragioni che altri forse non capiscono.
Il libro ci porta attraverso le sue esperienze personali, narrate sempre con leggerezza – quasi volesse non prendersi sul serio mentre parla di un’attività che lo appassiona, ma che altri potrebbero non apprezzare – e si apre su notizie e fatti di altri ricercatori, collezionisti, viaggiatori e molti scrittori. In modo particolare compare la figura di René Malaise, entomologo, esploratore e collezionista, che si intreccia da cima a fondo con i fatti narrati e la vita di Sjöberg. A Malaise è dovuta l’invenzione di una speciale trappola per mosche che porta il suo nome.
Nel silenzio dell’isola, in attesa della sirfide di turno, Sjöberg vive in splendida unione con la natura incontaminata e ne vede le meraviglie in ogni stagione: «L’aquila di mare, grande come lo striscione di un corteo, sorvola la superficie ghiacciata dell’acqua fuori dalla mia finestra e ogni tanto, al crepuscolo, i crocieri fanno cadere sul terrazzo le pigne del pino nell’angolo che ogni autunno mi riprometto di tagliare per avere più luce. I corvi spiano dalla cima dell’antenna al di là del villaggio, che risale a tempi immemorabili. Nient’altro. Vento del nord e vento dell’est». E le notti d’estate sono così belle, quando tutto è perfetto, la luce, il caldo, i profumi, la foschia, il canto degli uccelli… le farfalle, che nessuno può dormire.
Se la solitudine è la prima cosa a cui l’entomologo deve essere pronto, Sjöberg ha scelto una solitudine che trabocca di meraviglie. E ce la racconta.
Marisa Cecchetti