Proseguendo nella collaborazione con la rivista web finlandese (in lingua italiana) La Rondine, già avviata con il girovagare nella capitale finnica alla ricerca (vana) del centro da parte del nostro corrispondente Giacomo Bottà, le cui puntate vengono riprese dall’Oblò finlandese della nostra “Nave Terra” e proposte, con originale presentazione e illustrazione, ai lettori del portale “gemellato” col titolo “Helsinki l’eccentrica”, siamo lieti di presentare anche ai lettori di Tellusfolio questo interessante servizio di Nicola Rainò. Non mancheranno altre forme interattive tra le due testate, nel comune intento di offrire un servizio sempre più qualificato e importante. (Es)
Alla Fiera dei piccoli Editori, il “Pisa Book Festival” tenutosi nella città toscana dal 13 al 15 ottobre 2006, abbiamo incontrato Emilia Lodigiani (foto), fondatrice, redattrice, e in questa sede anche commessa al banco dei libri Iperborea, la “ormai non più così piccola casa editrice” che ha fatto conoscere in Italia la letteratura nordica moderna. Di corsa, tra un seminario e un pranzo di lavoro, riusciamo a inchiodarla per pochi minuti a un tavolino del bar della Fiera, per fare il punto della stagione, e sentire qualcosa del futuro. Che sarà sempre più iperboreo.
In questa fiera signora convivono due tendenze contrastanti: una propensione, molto lombarda, alla concretezza, al sodo, che fa i conti con una teatralità faticosamente tenuta a freno. Ed è qui parte del suo fascino, come s’è visto, per esempio, al seminario sulla Traduzione tenutosi il 14 in un padiglione affollatissimo della Fiera.
Quanto “piccola” è ancora Iperborea?
«Nessun dubbio che lo sia ancora. Facciamo dieci titoli all’anno, e sono pochi. Quel che ci rende più grandi come immagine sono essenzialmente due motivi: uno, quello di avere grandi scrittori (avendo cominciato per primi sull’area nordica, abbiamo selezionato gli autori migliori, il che non è tipico del piccolo editore), e l’altro è il fatto che siamo un editore di catalogo, avendo pubblicato sinora 151 titoli, e di questi sono attualmente “vivi” e ristampati almeno 130. Quindi sia da parte del pubblico, sia da parte dei librai, poiché oltre alle 10 novità facciamo anche 15-20 ristampe all’anno, siamo percepiti come più grandi di quel che siamo».
Che peso hanno le traduzioni nei vostri bilanci?
«Grosso. Dal momento che facciamo esclusivamente libri nordici, tutti devono essere tradotti. Per fortuna, avendo a che fare con paesi lungimiranti, che danno un grosso valore alla cultura come promozione anche economica della loro identità, facilmente troviamo sovvenzioni, che non coprono l’intera traduzione, e certamente non gli autori ormai noti, come Paasilinna, scelta che trovo del tutto legittima. Ma per noi è comunque un costo aggiuntivo».
La Finlandia non rientra a pieno titolo nel mondo scandinavo; nel vostro catalogo, quindi, come c’è entrata?
«Mah, diciamo un po’ per ignoranza o perché in Italia la Finlandia viene un po’ identificata coi paesi scandinavi, ecco perché compare nel nostro progetto fin dagli inizi. Quel che ha un po’ ritardato le pubblicazioni è stata la difficoltà di reperire traduttori. Mentre per lo svedese ho venti nomi, un po’ meno per norvegese e danese, per la Finlandia è stato più difficile trovare dei “pazzi” che imparassero una lingua così complicata, spesso per motivi personali o per il pallino delle cose difficili».
Finora dove avete reperito i traduttori?
«C’è per fortuna un passaparola. Noi siamo partiti da un incontro personale: il nostro primo traduttore dal finlandese era Ernesto Boella, purtroppo mancato, che io avevo incontrato al centro turistico finlandese a Milano. A volte sono gli stessi traduttori che si fanno vivi con noi, conoscendo la nostra specializzazione, a volte funziona il suggerimento di un altro traduttore, come nel caso a lei noto».
Lei sa che con il suo catalogo ha contribuito a far conoscere il mondo finlandese agli italiani, anzi attraverso i suoi libri gli italiani si sono fatta un’immagine della Finlandia, per importanza almeno pari a quella che il cinema finlandese ha svelato. Ora, noi conosciamo le scelte sinora fatte: ci dice quali aspetti della cultura finlandese ha sinora volutamente o suo malgrado trascurato?
«Diciamo che sono gli aspetti più vicini agli altri paesi nordici. In fondo mi piaceva dare una visione della Finlandia come un paese in cui l’umorismo aveva un così grosso peso, il che andava contro i pregiudizi più diffusi in Italia sul nord cupo, col tasso di suicidi altissimo, la prevalenza nella narrativa della campagna e dell’isolamento. Mi piaceva dire no, guardate, hanno un senso dell’umorismo eccezionale, e dunque ho voluto far passare prima questo messaggio, prima di quello dell’interesse per il sociale o la rimeditazione sulla propria storia. Anche perché mi sembra, nonostante la mia scarsa conoscenza personale di questa cultura, che questo aspetto dell’umorismo sia un tratto distintivo, come si vede per esempio in Kaurismäki rispetto a un Bergman: magari i temi sono gli stessi, ma il tipo di linguaggio è molto diverso».
Un contributo all’inquadramento della letteratura finlandese lo avete dato anche attraverso i vostri pre- e postfatori ai volumi, una materia di specifica responsabilità dell’editore. Nella presentazione degli autori della letteratura finlandese mi ha colpito la mancanza di studiosi del settore, mentre invece si utilizzano persone che di Finlandia si occupano da posizioni eccentriche: giornalisti, documentaristi, critici cinematografici, scrittori di belle lettere, ma non specialisti di letteratura finlandese. È una scelta meditata, o solo carenza di materiale umano?
«Direi il secondo caso, in primo luogo. E poi è diventata anche una scelta meditata, nel senso che ho scelto nomi noti in Italia, con qualche conoscenza del mondo finlandese, che mi facessero un po’ da tramite. Per le altre lingue, invece, gli stessi traduttori, essendo legati al mondo accademico, già loro mi consentono questo passaggio, per cui nelle postfazioni (le preferisco alle prefazioni, non voglio costringere il lettore a leggerla subito) mi danno agevolmente un inquadramento storico e letterario, mentre invece per i titoli finlandesi c’è più una spiegazione del libro stesso alla luce della società finlandese, più che della sua letteratura».
Cosa c’è nell’immediato futuro per i lettori italiani di cose finlandesi?
«Continuiamo coi nostri autori. Tra breve uscirà un nuovo libro di Leena Lander, L’ordine, e poi per l’anno prossimo un nuovo Hotakainen, Via della trincea, un nuovo Paasilinna, e poi Aki Kaurismäki, la sceneggiatura de L’uomo senza passato».
Con il che ci allontaniamo leggermente dal filone dei romanzi. A proposito: non è prevedibile qualche incursione nel campo della poesia?
«No. E mi spiego. Per quanto riguarda sceneggiature cinematografiche abbiamo già avuto Bergman, e dunque non è un’assoluta novità, e il progetto Kaurismäki è poi legato anche a Goffredo Fofi che è esperto di cinema e appassionato di letteratura nordica, un intellettuale che prima di Iperborea già aveva fatto vasta azione di scoperta di questi paesi. Dunque, no alla poesia, per quanto mi renda conto che ci sono grandissimi poeti in tutta l’area nordica, addirittura molto dei miei narratori sono anche poeti, e quindi mi dispiace non ampliare in quella direzione, ma confesso che è una mia scelta personale. Non sono una grande lettrice di poesia, anche se mi è capitato di studiarla, la amo, ma non ho quel naso, quella sicurezza in me stessa e nelle mie scelte, che mio consentono di dire questo sì e questo no. Per la poesia dovrei soprattutto fidarmi degli altri, e questo non è nel cuore originario della casa editrice».
Dunque non è nelle sue corde. Ma torniamo alle origini, e scusi la domanda che in tanti le avranno fatto: c’è stato qualche tramite tra lei e questa letteratura, un momento in cui ha capito che questo interesse personale doveva diventare un lavoro, o una missione?
«Il primo approccio è stato abbastanza casuale, da lettrice, in Francia. Sono vissuta dieci anni a Parigi, e lì ho cominciato a leggere i nordici per curiosità personale. Quando son tornata in Italia e ho scoperto che certi nomi che io davo per scontati qui non erano conosciuti mi son detta che non era possibile, si trattava di grandi scrittori a livello internazionale, e il fatto che esprimendosi in lingue minoritarie diventasse un ostacolo alla loro conoscenza mi sembrava un affronto alla cultura europea. È così è nato il progetto, un po’ come una missione come diceva lei, per spartire con altri la gioia di una scoperta, quella di una letteratura che ha sempre il coraggio di affrontare i grandi temi esistenziali, e che lo faccia con l’umorismo, come Paasilinna, che per il fatto di far ridere non per questo non affronta tematiche importanti, oppure lo faccia con altri strumenti, con la poesia, la ricchezza linguistica, resta un patrimonio da conoscere. Insomma, ho pensato che era una necessità di arricchimento della cultura italiana, una finestra sul grande nord».
La parola umorismo, a noi italiani, ricorda varie cose. Per esempio, per Pirandello, era frutto anche dell’intervento della riflessione. Con i distinguo del caso, non crede che in questi suoi autori, e cito Hotakainen, l’aspetto della riflessione sul mondo, anche psichico, porti a sorridere, ma anche a pensare, soprattutto?
«È quello che mi piace, l’umorismo come capacità di spostare l’ottica normale, per cui improvvisamente si vedono cose che non s’erano viste prima. Trovo che l’originalità nell’affrontare tematiche come il suicidio, o realtà sociali misere, o il bisogno di evasione e la ricerca di identità, ridendo a facendo sorridere, è una forza rara. Concordo pienamente».
Ringraziamo Emilia Lodigiani, una che indubbiamente è riuscita a fare quel che le piace, e auguriamo a lei e a noi tanti altri libri Iperborea.
a cura di Nicola Rainò