“Avrei preferito che queste immagini facessero parte di un passato molto remoto; purtroppo non è così, 35mm dal confine è il ritratto di una “civiltà” moderna che, ancora una volta, dimentica il passato e ignora il diritto di vivere dignitosamente una vita senza confini”
Mirco Fontanella
Idomeni (Grecia) è una villaggio nelle periferie montane di Kilkis, al confine tra Grecia ed ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia; che si è ritrovato improvvisamente sul palcoscenico internazionale dopo la decisione delle autorità macedoni di bloccare i migranti diretti in altri paesi europei, in primis la Germania. Tutto è iniziato a fine novembre dello scorso anno quando le autorità di Skopje hanno deciso di lasciare entrare nel paese solo i migranti siriani, iracheni e afgani.
Qualche giorno dopo hanno innalzato un muro di filo spinato per rendere effettivo il provvedimento. Il 9 marzo, il governo macedone ha chiuso definitivamente la frontiera giustificando il provvedimento a seguito della scelta di Slovenia, Croazia e Serbia di non accettare più migranti senza documenti validi. La rotta balcanica è ufficialmente chiusa. Questo, ha lasciato una crisi umanitaria unica nel suo genere e che nessuno si sarebbe aspettato potesse accadere all’interno dell’Unione Europea.
Il mio viaggio al fianco di Simone Sarchi, giornalista freelance, vuole documentare senza alcuna distorsione mediatica, la condizione di vita quotidiana di queste migliaia di persone che sono rimaste bloccate a pochi passi dal confine, e che sono stanche di vivere in tenda, di sprofondare nel fango, del freddo, delle code infinite per il cibo e l’acqua, di condividere con centinaia di persone i pochissimi bagni chimici, della precaria situazione igienico-sanitaria, stanche di non aver nulla da fare durante la giornata e soprattutto di essere ignorate dall’Europa.
Situazione igienico-sanitaria al campo:
La situazione igienico-sanitaria in cui vivono i rifugiati al campo è tristemente precaria; molti di loro hanno affrontato un viaggio di migliaia di chilometri sognando una vita pacifica ma sono finiti a vivere in un campo bagnato dalle piogge e battuto dai freddi venti invernali. Queste persone stanno dormendo da mesi in una tenda umida e gelata fissata alla meglio in un campo, o lungo una linea ferroviaria; passano il loro tempo a racimolare rottami e pentole vecchie per cercare di cucinare un pasto caldo, bruciano quello che trovano per non sopperire al freddo. Le organizzazioni umanitarie internazionali e diverse decine di volontari indipendenti stanno facendo del loro meglio per alleviare dolori fisici e psicologici di una situazione che nel terzo millennio non dovrebbe essere contemplata nemmeno da una fantasia perversa.
Associazioni volontarie indipendenti:
Al campo (oltre che UNHCR, Medici Senza Frontiere, Save The Children, ecc.) c’è una massiccia presenza di volontari e organizzazioni umanitarie indipendenti provenienti da ogni parte del globo. Queste si occupano della distribuzione di cibo, acqua potabile, vestiti, tende, coperte e tutto quello che serve a garantire una sopravvivenza dignitosa dei rifugiati. Fortunatamente c’è ancora qualcuno che, di sua spontanea volontà, cerca di dare speranza alleviando le sofferenze di questa gente. Siamo abituati (purtroppo) a immagini di povertà, ma qui è diverso; tra i rifugiati, ci sono persone laureate in medicina o economia, che parlano tre o quattro lingue, e provengono da paesi industrializzati anche più del nostro, ma che loro malgrado, sono stati costretti a fuggire e si sono trovati a vivere nel fango, fare file lunghissime per (letteralmente) un pezzo di pane o un thè caldo.
Donne e bambini:
Intorno al 70% di rifugiati al campo di Idomeni, sono donne e bambini. Questo dà la dimensione della tragicità della situazione sociale mediorientale. Le incessanti guerre stanno sterminando e lasciando senza casa intere generazioni. Famiglie intere con bambini appena nati o donne ancora in gravidanza, sono costretti ad affrontare dei viaggi lunghissimi che, come ben sappiamo, purtroppo non tutti riescono a terminare a causa delle avverse condizioni di viaggio. Queste famiglie hanno speso tutti i loro averi per finanziare il viaggio che purtroppo li ha portati davanti ad un cancello chiuso da un filo spinato lungo una linea ferroviaria, in un continente che, chiudendo gli ingressi, crede stupidamente di arginare un problema ben più profondo.