Tratto da alcuni racconti di una scrittrice molto raffinata, Alice Munro, Julieta ha un tratto in comune con le storie dei feuilleton: presenta un'alta concentrazione di disgrazie. Ciò può creare un effetto di inverosimiglianza e può essere sgradevole, perché le disgrazie non piace sentirle evocare, specie in misura ricorrente. Ma è un dato che di per sé non costituisce un difetto artistico: lo sarebbe se le disgrazie fossero usate per strapparci le lacrime, se il dolore che comportano fosse reso a tinte esasperate, travalicasse nel sentimentalismo.
Ma il dolore, profondo e prolungato, raccontato dal film di Almodóvar, raramente si esprime in forme esteriori. È un dolore che raggela, che inaridisce chi lo prova. Non è dovuto soltanto alla perdita di una persona amata. È acuito, reso quasi intollerabile, da una complicazione psicologica: dal senso di colpa per essere stati forse responsabili della disgrazia per cui quella persona è morta.
Non entrerò in modo particolareggiato nel merito della vicenda di Julieta, anche perché, come capita in molti film di Almodóvar, è piuttosto complicata. Dirò soltanto che la disgrazia portante della vicenda, riguarda una donna che perde il marito, pescatore, in seguito a una tempesta, ma anche, ambiguamente, in odore di suicidio, perché egli si imbarca dopo una lite coniugale (scatenatasi, in effetti, senza responsabilità della moglie). Da quel momento la vita della donna si trasformerà a lungo in un'espiazione.
Anche perché la figlia, tanto affezionata a quel padre, avendo appreso delle circostanze della sua morte, la abbandona, la punisce infliggendole il dolore della sua assenza. Sembra anche avere abbracciato una fede religiosa.
Ecco: è proprio in questo elemento, forse, la chiave del film. Una colpa onnipresente, che preesiste alle concrete responsabilità morali di ogni individuo, non è forse un richiamo a ciò che per un cattolico è il peccato originale? E non è in base a questo principio che la vita terrena è un'espiazione, che sarà forse compensata nell'aldilà?
Pedro Almodóvar è abitualmente ritenuto un libertario, il cantore della cosiddetta “movida”, quella rivoluzione del costume che segnò la storia della Spagna, in particolare negli anni Ottanta.
Di questa sua abituale tematica, c'è un accenno anche in Julieta. La protagonista, in età già matura, incontra un'amica della figlia in compagnia di un gruppo di gay e di travestiti. Ma la ragazza, allontanandosi, li porta via con sé e spariscono dal film.
Ciò che resta è un ingombrante, opprimente cattolicesimo con cui Almodóvar polemizza ma della cui sensibilità evidentemente partecipa, rimosso finora da questo apologeta della trasgressione sessuale; ma che dovrebbe affrontare in modo più compiuto, più consapevole nei suoi prossimi film.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 4 giugno 2016
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