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I fuori classe/ Pagare per respirare 
di Linda Pasta e Leonardo Antonio Mesa Suero
02 Giugno 2016
 

Arriva a Lampedusa un giovane, di nome Abdel, 25 anni, proveniente dal Sudan. L'uomo, intossicato da monossido di carbonio, durante il viaggio nel Canale di Sicilia, è stato tirato fuori dalla stiva di un peschereccio dove erano già morti 18 suoi compagni. L'immigrato, trasferito a Palermo, dopo essere stato sottoposto a trattamento di camera iperbarica al Policlinico, è stato spostato al Civico dove si trova anche l'altro profugo intossicato. Le sue condizioni di salute sono migliorate rapidamente e il paziente sarà dimesso a breve insieme all’altro immigrato intossicato.

Racconta come è finito nella stiva: «Nei giorni in cui siamo rimasti chiusi nella casa dei trafficanti di uomini, in attesa che il maltempo finisse e si potesse partire, continuamente parlavamo del “grande battello” su cui avremmo navigato fino a Lampedusa. E invece eccolo, un battello senza nome, lungo dieci metri, pronto per il suo ultimo viaggio. Arrivato a Lampedusa era in ogni caso condannato al sequestro, per poi essere gettato in qualche cimitero delle barche sull’isola. Io non avrei mai dovuto imbarcarmi su quel barcone. Avevo pagato il passeur (chi guida i migranti clandestini nel passaggio della frontiera, dietro compenso), per un altro, più grande davvero, diciassette metri, con duecento persone a bordo. Domenica sera è arrivata la telefonata: vieni, è il giorno, il mare è calmo e il vento non spirerà per due giorni.

Confesso che quando ho visto il battello sono caduto in errore: pensavo fosse la barca che doveva trasferirci al largo, era troppo piccola e vecchia per attraversare il mare. Solo quando, tra urla e spintoni, la gente che era sul molo ha iniziato a gettarsi dentro mi sono rassegnato, quello era il mio barcone. Non volevo andare lì, ma mi hanno battuto con bastoni per costringermi. Una volta dentro, dopo qualche ora ho cominciato ad avere mancanza d’aria e ho cercato di risalire verso la botola per tentare di respirare attraverso le crepe presenti sopra la mia testa. Forse per questo sono riuscito a continuare a respirare. Gli altri passeggeri si trovavano in posizioni più svantaggiate non c’è l’hanno fatta. Poi, mi sono ritrovato in ospedale».

Secondo i sopravvissuti di altri battelli, dove si sono verificate altre morti da intossicazione di monossido, i contrabbandieri usano anche farsi pagare per permettere ai passeggeri di uscire dalla stiva per respirare.

Il monossido di carbonio (o ossido di carbonio o ossido carbonioso) è un gas velenoso particolarmente insidioso in quanto inodore, incolore e insapore. L'intossicazione da monossido di carbonio rende la cute e le mucose del cadavere di un tipico colore rosso ciliegia, tanto da farlo sembrare ancora vitale. È la causa di avvelenamento per esempio da braciere o camino che ogni anno miete molte vittime, circa 6.000 ricoveri e più di 350 decessi, specie nei mesi invernali. Il monossido, riducendo l’ossigenazione del sangue, determina progressiva asfissia con il tipico quadro di labbra, unghie e mucose che appaiono di colorito rosso ciliegia; si arriva rapidamente alla perdita completa della coscienza e alla morte.

Per la sua tossicità, il monossido di carbonio fu utilizzato in camere a gas mobili, i così detti Gaswagen, (semplici autocarri in cui venivano stipate in media dalle 50 alle 60 persone, a cui venivano fatti respirare i gas di scarico prodotti dal motore), usati per primi dai sovietici e poi dai nazisti. Il funzionamento era abbastanza semplice. Questo tipo di veicoli aveva la capacità di contenere stipate un certo numero di persone nel cassone posteriore. Questo veniva sigillato internamente, e il cassone, in cui veniva fatto confluire il gas di scarico del motore, funzionava quindi da camera a gas, uccidendo le persone alloggiate al suo interno. In un archivio delle SS fu trovato un documento che recita: «Nel giro di sei mesi, tre di questi camion hanno “trattato” 97.000 “pezzi” senza inconvenienti di sorta».

Questo sistema di sterminio fu abbandonato negli anni, poiché non riusciva a seguire il ritmo della logica di sterminio nazista e fu definito dagli esecutori “inefficiente”. Oltretutto, alcuni dei militari addetti allo sterminio venivano colpiti da depressione, a causa dello spostamento dei corpi inerti dai camion alle fosse comuni e, conseguentemente, si suicidavano.

Nei trasferimenti dall’Africa il problema non è finalizzato allo sterminio predeterminato. Lo sterminio è un effetto collaterale (ma sempre di sterminio si tratta), non l’obiettivo. Ma gli aguzzini che spingono a bastonate i poveri migranti nella stiva e non ne garantiscono l’incolumità durante il viaggio, dovrebbero essere puniti almeno alla stessa stregua dei nazisti: le stive delle barche di fatto diventano dei veri e propri forni a gas, in tedesco Gasofen, dei veri e propri mezzi di sterminio di innocenti.

 

Linda Pasta e Leonardo Antonio Mesa Suero


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