Le sculture di Camille Claudel, oltre a essere estremamente armoniose e perfette nella forma, sono pervase da una bellezza sfolgorante e nel contempo così raffinata e seducente da indurre incanto. E suscitare una vastità di emozioni che toccano e commuovono profondamente, con il loro fascino intriso di un'intima e avvolgente sensualità
La Valse
La Valse est une oeuvre où un couple de danseurs enfouis et émergeant à la fois l’un de l’autre, à peine effleurés et enlacés pourtant, semble s’élever de la légèreté de leur drapé de bronze. Camille Claudel n’eut jamais l’argent pour acheter le bloc qui eût permis qu’on les sculptât dans le marbre.
Dans La Valse, une écriture scandée, respirée, Camille trouve là la plus haute légèreté, cette légèreté étrange de la gravité des choses, car, Camille savait trouver, dans un bloc de pierre, de glaise ou d’onyx, l’exacte limite entre le gras et le maigre, entre le duvet et la peau, entre l’âme et le corps: elle sculte (écrit) en évidant, en évitant, ne laissant que ce qui reste lorsqu’elle a tout enlevé, gratté jusqu’à l’os, poli l’onyx jusqu’à plus d’ongle.
Une robe longue et légère, si légère dans le vent, qu’elle paraît ne pas avoir du temps, ne pas appartenir au temps, de même que les amants n’y appartiennent toujours pas.
Et l’étoffe est si légère et si bleu qu’elle dit le radieux du jour d’été, le bonheur et la joie qui l’accompagnent, une étoffe qui se lève dans le vent, légère bat les chevilles et, parfois, d’un grand mouvement vole autour d’elle. Camille oublie qu’elle boite, elle se laisse aller: c’est une valse.
Paul Claudel, “Camille Claudel statuaire”, in l’OEil écoute, OEuvres en prose, Bibl. de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1965
La Valse è un'opera nella quale una coppia di ballerini, sprofondati e nel contempo emergenti l'uno dall'altro, intimamente avvinti pur sfiorandosi appena, sembra sorgere dalla leggerezza del loro drappo di bronzo. Camille Claudel non ebbe mai il denaro per acquistare il blocco che le avrebbe permesso di scolpirli nel marmo.
Ne La Valse, una scrittura scandita, respirata, Camille trova il suo punto di leggerezza più alto, quell'inaccessibile leggerezza della gravità delle cose, poiché Camille sapeva trovare, in un blocco di pietra, di argilla o di onice, il limite esatto fra grasso e magro, fra lanugine e pelle, fra l'anima e il corpo: ella scolpisce incavando e scanalando, lasciando soltanto ciò che resta dopo aver tolto e raschiato tutto fino all'osso, lucidato l'onice fino a non avere più unghie.
Un abito lungo e leggero, così leggero nel vento che sembra essere senza tempo, non appartenere al tempo, allo stesso modo in cui gli amanti non vi appartengono affatto.
E il tessuto è così leggero e luminoso che esprime lo splendore del giorno d'estate, la felicità e la gioia che lo accompagnano: una stoffa che si alza nel vento, batte leggera le caviglie e, talvolta, con un movimento ampio le vola intorno. Camille dimentica che zoppica, si lascia andare: è un valzer.
Nel modello originale (che ho potuto vedere a Parigi, durante la prima grande retrospettiva dedicata all'opera di Camille Claudel, organizzata presso il museo Rodin nel 2008) quest'opera non ha alcun piedistallo, né si vedono i piedi dell'uno o dell'altro dei danzatori, i quali sembrano reggersi semplicemente sull'onda del movimento della danza da cui sono presi. Soltanto un lembo del vestito di lei, visibilmente ampio e fluttuante, appoggia appena, per un brevissimo tratto, suscitando l'idea e suggerendo l'effetto di una lievissima spinta, un impercettibile tocco volto a permettere al movimento di trovare altro slancio e rinnovarsi senza sosta, in un equilibrio fragile eppure durevole nella sua levità, sorretto dal trasporto e dal rapimento estatico che pervadono i due protagonisti.
Ivana Cenci (17 febbraio 2016)