Girasoli di mare
senza rifugio
radicati negli abissi
il buio dei fondali
trattiene gli ultimi fiati
in asfissia
di luce
La raccolta di poesie Girasoli di mare, di Patrizia Garofalo, è uno sguardo partecipe e attonito, di fronte alla tragedia delle morti in mare dei migranti. Anzi, più che di fronte, bisognerebbe dire direttamente da. È, infatti, compartecipazione pura, senza necessità di un commento o di una narrazione esterna, quella che ci propongono i versi dell’autrice, poiché non possono essere di spettatrice i versi di chi intenda far posto nell’anima, prima ancora che nella penna, all’indicibile sofferenza di quest’ormai quotidiano stillicidio di vite.
La voce poetica diviene, quindi, protagonista e chiama in causa ognuno di noi, ad ognuno chiedendo di riconoscersi tali. Protagonisti, in quanto esseri umani, appartenenti al consesso umano, cosa che dovrebbe intrinsecamente farci sentire in profonda sintonia con ciascun migrante, con ognuno di questi girasoli di mare, la cui struggente e ingiusta parabola è troppo spesso destinata ad iniziare e finire con una tragedia.
Il mare si tinge di mattanza, scrive Garofalo; il concetto è duro quanto realistico, è disturbante, ci riporta le immagini di una tonnara, del sangue, della morte, attorniata dal tutto che è la vastità del mare e dal niente che sono le nostre quotidiane indifferenze, la logorata trama del nostro niente.
Per i migranti la prospettiva nell’abbandonare tutto ciò che è vita reale, ancorché tremenda fino all’attimo prima di imbarcarsi, è dapprima quella della speranza, ma presto diviene quella di un esilio che s’abbevera di sabbia, sassi e sangue, inghiottito dalla nostalgia, che brucia anche le radici delle proprie esistenze. E resta solo un sudario di stelle.
C’è tanta luce, nella raccolta di Patrizia Garofalo, ma è il ricordo della luce, solo il suo ricordo.
Niente è consolatorio, perché la storia non lo è: un cielo rosso di notte brucia la storia. Non si sta andando nella giusta direzione e perfino il vento ci ammonisce: l’avvertimento del vento giunge da lontano. Pare annunciar tregende…
Ci sono ombre nomadi, deserte luci… arrampica il vuoto la luce/ cerca il respiro del cielo. E in cielo nessun sole perché il sole è morto.
L’autrice si palesa con delicatezza, come testimone di quel che accade. Scrive della fatica di trovar parole, infatti le parole sono perse, cancellate prima del dire, oppure si divincolano, cercano respiro. E quand’anche la parola si compie, anche la parola svelata, perfino quella di Dio, si avverte come deserto… E allora non rimane che affidare al silenzio un supplemento d’anima.
Leggendo queste poesie, lasciamole entrare dentro di noi fino a scuoterci, a rimuoverci da una posizione quasi indegna, perché in-decente è il nostro assistere, sapere e non agire, nei confronti di questa piaga dei nostri tempi.
Anche la nostra vita dovrebbe sentire di annaspare a strappare l’ombra, dovrebbe prendere consapevolezza di come quelle stelle di vetro, quei girasoli, quei fili agugliati siano intersecati a noi, che agugliati siamo, anche nostro malgrado, tutti noi viventi, intersecati insieme, qui ed ora.
Annagloria Del Piano