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Wendy Guerra. Il nuovo motto: Viva Chanel!
Spettatori alla sfilata di Chanel nel Paseo del Prado, 3 maggio 2016 (Ramon Espinosa, AP)
Spettatori alla sfilata di Chanel nel Paseo del Prado, 3 maggio 2016 (Ramon Espinosa, AP) 
17 Maggio 2016
   

Per quale ragione hanno permesso una passerella di Chanel all’Avana se da quando ho memoria nel mio paese esiste una guerra terribile contro il mercato? Il mercato è forse il nuovo cavallo di Troia?

 


In occasione dell’uscita del mio romanzo Domingo de Revolución sono stata intervistata dai media spagnoli e le domande sull’alta moda non si sono fatte attendere.

Confesso di adorare Chanel ed essendo nata a Cuba in un freddo giorno di dicembre del 1970, sono cresciuta tra crisi e privazioni, riciclando vestiti e indossando scarpe prestate. Del glamoure dell’alta moda non si parlava mai, ma se ne avevamo notizia era meglio restarsene in silenzio; nominare marche o stilisti famosi era come confessare di conoscere qualcuno della CIA.

Rispondere a interrogativi sull’argomento, prendere parte alle discussioni che nascono in diretta nelle emissioni radiofoniche e televisive, esprimere sinceramente la propria opinione a proposito di questioni a me familiari non significa avere tutte le risposte.

Perché scegliere Cuba per lanciare questa caleidoscopica collezione? Sarà che siamo di moda e questo fa da richiamo alla moda? Per quale ragione hanno permesso una passerella di Chanel all’Avana se da quando ho memoria nel mio paese esiste una guerra atroce contro il mercato? Il mercato è forse il nuovo cavallo di Troia? Chi c’è nascosto all’interno di questo cavallo? 

Perché il popolo non ha potuto guardare tranquillamente la sfilata lungo il paseo? Non temiamo il mercato ma temiamo un cambiamento nel nostro indottrinamento estetico? Chanel fa parte di un allenamento visivo? Vedere altri colori e altri tagli, sentire che esiste un nesso tra il clima, la storia, la politica e il corpo della donna cubana non è un passo per iniziare a confezionare le nostre collezioni personali, e addirittura, per disegnare noi stessi, utilizzando codici, generi, elementi autoctoni, riciclando con abilità quel poco che possediamo?

In futuro Chanel sarà un’ispirazione per coloro che disegnano qui?

Lo stile di Chanel è riproducibile nel paese? Si aprirà un negozio Chanel in qualche piazza o edificio storico dell’isola? I creativi di Chanel sono consapevoli del loro atto di intervento privato in uno spazio che è pubblico quanto popolare e mitico? A chi non è sembrata opportuna l’immagine del popolo che si godeva lo spettacolo lungo il Prado? Si tratta di problemi estetici o politici? Si tratta dei cosiddetti ‘contrasti’? In quanti luoghi del mondo è stato affittato un viale pubblico a Chanel? In quale parte del mondo il popolo va a vedere una sfilata di Chanel? In quale parte del mondo il popolo compra, usa, si interessa all’ultima collezione di questa marca di lusso? Sono state solo le nostre mancanze a tenerci lontani dalla moda in questi anni? È l’embargo, o blocco, il vero colpevole del fatto che solo oggi ci rendiamo conto che esiste qualcosa chiamato moda, alta sartoria, passerelle… e un po’ più in là, quasi toccando il cielo di Parigi: Chanel? È un sapere ufficiale ciò che Coco Chanel ha significato nella storia di Francia? Gli abitanti dell’Avana sanno che potevano o no godere della sfilata, della controversia di questa figura? Anche la nostra storia politica recente è legata al pregiudizio verso il mercato della moda?

Qualcuno ricorda che cosa significava indossare un paio di jeans a Cuba durante gli anni duri? Qualcuno ricorda quanto era difficile vestire con la cosiddetta roba de La Comunidad? Non sembrano uno statement degli anni ’60 – insieme alla minigonna di Mary Quant – gli indumenti verde olivo, le barbe, i capelli lunghi, gli stivali militari e perfino le collane di Santa Juana? Chi li ha fatti diventare di moda? Chi ha sfilato dai carri armati posando per il mondo?

La storia non è altro che una successione di eventi che si ripetono ciclicamente, passiamo dal proibito all’obbligatorio e oggi il motto è: Viva Chanel!

 

Wendy Guerra

(da el Nuevo Herald, 14 maggio 2016)

Traduzione di Silvia Bertoli


 
 
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