Il mito di Romeo e Giulietta, che al cinema è stato ripetutamente riattualizzato, deve forse la sua vitalità alla morale che contiene, semplice e veritiera. I conflitti, anche i più sanguinosi, che contrappongono gli uomini e che, al momento, sembrano tanto urgenti e necessari, si rivelano, con il senno di poi, irreali come i vaneggiamenti di un folle. Mentre l'amore, allora disprezzato, sacrificato a quei conflitti, si rivela, esso sì, autentico, tale da suscitare per sempre rispetto e commozione.
Almeno un'eco di “Romeo e Giulietta” la si percepisce in Sole alto, il film che il regista croato Dalibor Matanić ha dedicato alla guerra nella ex-Jugoslavia e al lungo dopoguerra.
Ma la guerra è considerata nel suo film in una prospettiva, appunto, shakespeariana. Come nell'opera di Shakespeare le ragioni che contrapponevano in un annoso conflitto le famiglie dei due innamorati, restavano sullo sfondo, mai chiarite, mentre in primo piano era sviscerata la storia d'amore tra i due protagonisti, così nel film di Matanić, non sono quasi per nulla rievocate le ragioni politiche che negli anni Novanta contrapposero i Serbi ai Croati (se ne accenna soltanto come di una paurosa follia), mentre al centro del racconto c'è la storia d'amore tra un uomo croato e una donna serba.
In effetti le storie d'amore sono tre, collocate in tre momenti di quella guerra. Ma gli innamorati sono interpretati dagli stessi due attori, molto bravi: Tihana Lazović e Goran Marković.
Nel primo episodio (negli anni Novanta, agli albori della guerra) si tratta di due fidanzati, il cui fidanzamento sarà spezzato per iniziativa del fratello della donna serba, che accusa la sorella di essere una traditrice, una svergognata, perché se la fa con un nemico.
Nel secondo episodio (all'inizio del Duemila, quando la guerra si è da pochi anni conclusa), la casa, distrutta, dove abitano una madre e una figlia serbe, che dalla guerra hanno riportato un grave lutto, è ristrutturata da un operaio croato. Tra il giovane operaio e la ragazza serba, nei giorni d'estate in cui sono costretti a convivere, si crea una palpabile tensione erotica. Ma le ragioni dell'odio sembrano più forti di quelle dell'eros.
Infine, nell'episodio più contemporaneo, si racconta di una popolare festa giovanile all'aria aperta. I conflitti sembrano svaniti. Eppure quell'euforia quasi ebbra può significare per alcuni una fuga dalle proprie responsabilità, un'occasione per dimenticare certe colpe che, sempre sulla base della discriminazione interetnica, si sono tuttora commesse.
I tre episodi hanno il limite di una certa didascalicità: di spiegare con eccessiva chiarezza le motivazioni dei personaggi, di attribuire a volte nettamente ragioni e torti.
Eppure certi momenti del racconto – per esempio, nel primo episodio, quando il ragazzo croato, che fa parte di un'orchestra locale, richiama, suonando la tromba, la ragazza serba che gli è stata strappata e alla cui casa non può avvicinarsi (e il suo richiamo musicale è goffo, impotente, ma disperato); oppure, nell'episodio della ricostruzione della casa distrutta, quando l'operaio e la ragazza finiscono per congiungersi carnalmente, ma i loro corpi sono contratti, non riescono ad abbandonarsi l'uno all'altro, e il sesso finisce per esprimere l'odio – quando il film esprime con senso di verità sentimenti dolorosi, lancinanti, riesce a essere anche poetico.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 7 maggio 2016
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