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Gianfranco Cercone. “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese: radiografia di un verminaio
02 Maggio 2016
 

La commedia agisce a volte sulla psicologia dei personaggi come un evidenziatore: mette in primo piano un tratto del carattere (di solito un vizio, un difetto), lasciando sullo sfondo, indefiniti, gli altri connotati psicologici. Quel vizio può essere di un singolo personaggio, ma anche di un insieme.

Per esempio nella commedia di Paolo Genovese: Perfetti sconosciuti – rilanciata nelle sale cinematografiche dopo aver vinto, ai David di Donatello, il premio per il Miglior Film e per la Migliore Sceneggiatura – quel vizio appartiene a tutto un gruppo di amici, che si riunisce a cena a casa di due di loro. Ed è l'ipocrisia.

Tutti, o quasi tutti, manifestano sentimenti che non provano, professano idee a cui non credono, prendono impegni che non hanno nessuna intenzione di mantenere. Nelle coppie, gli innamorati, autentici o sedicenti, si promettono “fedeltà” e invece intrattengono altre relazioni. Tra amici apparenti, si praticano sottili persecuzioni che non hanno niente di amichevole. Alcuni si vorrebbero di mentalità aperta e tollerante, e invece sono razzisti. Altri si manifestano stima e invece si disprezzano. Per tutto il film, grazie a un espediente, un gioco di società – gli invitati a cena devono rendere pubblici i messaggi che ricevono sul cellulare e parlare al telefono soltanto “a viva voce” – i personaggi sono smascherati.

Si è spesso rimproverato, anche a ragione, alla commedia all'italiana – che, come spesso si ripete, ha raccontato i vizi degli italiani – l'indulgenza nei confronti dei mali che rappresentava. E cioè: tanti personaggi, pur essendo dei cinici o delle vere e proprie canaglie, risultavano in fondo simpatici.

Non credo che questo rimprovero lo si possa rivolgere anche al film di Genovese. Malgrado qualche tocco superfluo di sentimentalismo, il film esprime nei confronti del piccolo verminaio che esamina, una condanna intera, senza attenuazioni. Tanto è vero che il personaggio migliore del gruppo, proprio sul finale, si allontana da solo, in macchina, su una strada notturna e deserta, come preferendo la solitudine a una tale compagnia.

In altri casi, il moralismo forza la descrizione dei personaggi tanto da renderli inverosimili. Qui, invece, la finezza del film fa sì che i personaggi restino credibili, riconoscibili perché purtroppo familiari, malgrado sia così chiaramente evidenziata la loro cronica, e forse inconscia, mancanza di moralità.

Insomma: io credo che il successo, ora anche internazionale, di Perfetti sconosciuti, sia meritato.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da
Radio Radicale il 30 aprile 2016
»»
QUI la scheda audio)


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