In una scena dell'Amleto di Shakespeare, il principe Amleto che, come è noto, era un grande appassionato di teatro, impartisce al capocomico di una compagnia di attori girovaghi, alcune istruzioni circa la rappresentazione che quella sera si dovrà tenere al castello. In particolare, gli dà alcuni consigli circa la recitazione (che, viene da pensare, sono moniti dello stesso Shakespeare agli attori che dovevano interpretare le sue opere).
Amleto si raccomanda di evitare le esagerazioni, le pose affettate, gli atteggiamenti smodatamente caricaturali, perché, lui dice, sulla scena il vizio e la virtù devono essere dipinti con le loro tinte naturali. Compito del teatro è infatti porgere uno specchio alla natura umana.
Sono considerazioni a cui si rischia di non prestare attenzione, tanto possono sembrare ovvie. Certo, si potrà obiettare che non tutti i testi teatrali sono realistici, e la recitazione dovrà adeguarsi di conseguenza.
Eppure, nel teatro italiano di oggi, un grave difetto ricorrente sono proprio, a mio parere, i vezzi, i manierismi, gli artifici della recitazione, che offuscano “lo specchio” di cui parlava Shakespeare, impediscono l'immedesimazione degli spettatori in ciò che accade sul palcoscenico.
È un'occasione preziosa poter conoscere, attraverso il cinema, alcuni grandi spettacoli del teatro inglese, più fedele alle auree indicazioni shakespeariane.
È stata presentata in questi giorni nelle sale cinematografiche – grazie alla casa di distribuzione Nexo Digital – una ripresa dal Barbican Theatre di Londra, proprio dell'Amleto, messo in scena dalla compagnia del National Theatre, per la regia di Lyndsay Turner, nella quale Amleto è interpretato da Benedict Cumberbutch (che gli spettatori cinematografici ricorderanno soprattutto per il ruolo di Alan Turing in The imitation game).
È noto che nel castello di Elsinore dove risiede il principe Amleto, è stato commesso un crimine efferato: il re è stato segretamente ucciso da suo fratello, il quale ha preso il suo posto sul trono e ha sposato la vedova, complice del misfatto.
Potrebbe essere una tentazione rappresentare la coppia regale di amanti criminali, a tinte fosche, perfino orrorifiche. Questa edizione rifugge da questo difetto grossolano.
Il nuovo re – forse un po' sfuggente, forse appena arrogante – è, in sostanza, cordiale e simpatico. E la regina ha l'apparenza di una donna di grande dignità. Tanto che a corte, nessuno o quasi nessuno, sospetta della corruzione che vi si è infiltrata. Perché per scorgerla, quella corruzione, ci vuole l'intuito, quasi visionario, di chi non si ferma alle apparenze e al senso comune, di chi sa leggere tra le pieghe dei volti, di chi si batte per conoscere la verità: come Amleto, naturalmente.
E la scoperta di quella verità, piuttosto che dargli la gloria, lo isola dalla corte, gli dà l'apparenza di un folle, ne fa un mostro da sopprimere. E nella sua intimità, poi, lo riempie di un tale disgusto per la natura umana, compresa la sua propria, da incamminarlo verso l'autodistruzione.
È impossibile raccontare l'Amleto in modo minimamente esauriente nello spazio di un breve intervento. Ma ecco: l'edizione del National Theatre, grazie in particolare alla sottigliezza realistica della recitazione, di Cumberbutch ma anche dell'intera compagnia, fa risplendere la trama dei sentimenti che sorregge il racconto.
Un luogo comune vuole, a quanto pare, che le scenografie fastose, colorate, di gusto cinematografico, siano volgarmente spettacolari o meramente decorative. Non potrei escludere che il gigantismo della messa in scena sia in questo caso esente da retorica.
Ma quel castello oscuro, rischiarato dalla luce delle fiaccole, dalle pareti alte e azzurre sulle quali si stagliano i grandi ritratti degli antenati, che ospita nei suoi saloni i più fioriti banchetti, che sembra uscito da una favola piuttosto che dalla Storia, ci dà subito il senso di un malvagio incantesimo che abbia colpito la reggia di Elsinore.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 23 aprile 2016
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