Flavio Ermini
Il giardino conteso
L’essere e l’ingannevole apparire
Moretti&Vitali, 2016, pp. 244, € 18,00
…segue il formarsi imperfetto della luce l’ombra così come si levano dal grembo della terra le apparenze allorché insieme quiete e movimento sembrano assentire al mobile orizzonte che da noi si allontana desituandoci dalle nostre abitudini cognitive per esporci al contrasto assoluto che si afferma nel principio di ascensione al cielo tra essere e divenire…
dalla Parte sesta: “Il castello in aria e l’alto dei cieli”
Nel saggio Il giardino conteso Flavio Ermini conduce il lettore in un affascinante viaggio nel mondo del “pensiero” attraverso la figuratività della parola poetica. Un viaggio determinato dalla natura stessa del pensiero, inteso come manifestazione dell’essere, come mutamento, movimento, scorrere perenne della realtà. Ermini lo chiama “moto ingannevole dell’essere”, in quanto l’essere “si dispiega” in forme sempre diverse, sfuggenti. Un intreccio di razionalità e fantasia, di filosofia e poesia, che non smarrisce il lettore, come potrebbe sembrare, ma, al contrario, offre suggestioni e motivi per riflettere.
Ermini, poeta e filosofo, ci guida, pagina dopo pagina, alla presa di coscienza della differenza tra “l’essere e l’ingannevole apparire”, tra “l’incorruttibilità dell’uno” e “le nascite e le morti degli enti che compongono il provvisorio”.
Una presa di coscienza del rapporto problematico dell’esistenza umana con l’essere. Nessun essere umano infatti può fare a meno di interrogarsi sul senso dell’essere in generale rapportandosi a se stesso e al mondo. Da qui scaturiscono quelle “figure d’esperienza” strettamente legate al nostro vissuto che, mentre a noi si manifestano, occultano l’essere e, di conseguenza, scrive Ermini, “questo mondo... è il mondo delle apparenze”.
Il rapporto che l’uomo stabilisce con tale mondo, però, non è vissuto come una realtà fissa e determinata, ma come problema, come possibilità in cui l’uomo deve scegliere: «ciò accade solo se l’esistenza è intesa come coappartenenza di presenza e assenza». In questo complesso alfabeto «quale atto-del-cogliere l’aurorale apparire delle cose» scrive Ermini «c’è il senso del nostro abitare poeticamente».
Le possibilità umane sono limitate e si scontrano con «l’infinità delle aspirazioni… soprattutto quella di vedere nella vita il luogo di costruzione di ogni senso possibile, non sono che illusioni».
Allora non resta che abitare poeticamente la terra, che significa diventare consapevoli di “mancare”, di essere transitori e mutevoli, di abitare l’ombra in uno spazio “che è quello dell’erranza e dell’errore”.
Ciò che vediamo di luminoso è illusorio, è inganno, è l’apparire, non l’essere.
Flavio Ermini, nello stile singolare che lo distingue, narra così il conflitto, la “contesa sempre in atto” tra essere e apparire, tra luce e oscurità, con cenni a filosofi del pensiero greco, come Hegel e Heidegger, a poeti come Novalis, Hölderlin, Trakl e Rilke.
Nell’inevitabile contesa si inserisce, con ruolo, direi primario, il dire poetico “… forma umbratile che, risalendo da uno sfondo pre-umano, ci abita e ci trasforma”, dire poetico con il potere arcano di accostarsi alla verità poiché «dal sottosuolo, da cui l’essere umano parla, una parola mostrante prende la parola e fa sì che l’essere si faccia presente e si dischiuda… Un dire che non nasconde il proprio non detto, ma incessantemente lo riprende, può pretendere di farsi prossimo all’inaccessibile, e forse diventare l’inaccessibile stesso…»; dire poetico che di fronte alle devastanti delusioni mantiene fedeltà “alla propria origine scura” accoglie la scomparsa di senso “trattenendo per sé il compito di nominare l’insensatezza di questa ulteriore notte senza mattino”.
Notte senza mattino, notte perennemente oscura, intessuta di illusioni ed errori, notte di “angoscia divorante che fa sanguinare” è solo una fatale necessità largamente dimostrata dalla nostra sconfitta nel giardino conteso.
Tuttavia avere consapevolezza di ciò, attraverso l’ombra che ci abita è, per Flavio Ermini, la condizione necessaria per avvicinarci alla verità.
Essere coscienti della sofferenza che ci sovrasta, fortifica e fonda la scrittura poetica, amplia la visione del mondo.
Giuseppina Rando