Cosa c'entra il referendum “trivelle sì/no” con il TTIP, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti in via di definizione? A prima vista niente. Ma non è così.
Innanzitutto è bene fare luce su che cosa potremo decidere il prossimo diciassette aprile, il nudo impatto giuridico. A tal fine è d'obbligo un passo indietro. Subito dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico del duemiladieci, quando più di cento milioni di litri di greggio si sversarono nell'oceano da una piattaforma petrolifera, il Governo Berlusconi approvò al volo un decreto-legge per rafforzare i limiti vigenti allo sfruttamento di pozzi di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Ad oggi essi consistono nel divieto di realizzare le così dette “attività upstream” in determinate aree protette di mare, entro dodici miglia dalle stesse e, soprattutto, entro dodici miglia lungo l'intero perimetro costiero nazionale. L'attività upstream concerne la ricerca, l'indagine e la coltivazione di un pozzo, dove il termine coltivazione va concepito in senso agricolo, fase di raccolta, o meglio estrazione, compresa. Il divieto faceva salve le concessioni già attive al duemiladieci, che comunque restavano sottoposte a concessione pubblica, vale a dire una scadenza del diritto a coltivare il pozzo entro la quale l'autorità pubblica poteva decidere se rinnovarlo o no, in relazione ad una valutazione ambientale. Fermo restando che la politica è notoriamente più sensibile ai posti di lavoro che all'ecosistema, rimaneva cioè in capo allo Stato, nello specifico alle Regioni, il potere di tutelare un interesse superiore, quello dell'ambiente. Hai visto mai. Con l'ultima legge di stabilità, approvata il dicembre scorso, questo potere di concessione è stato eliminato, estendendo i titoli di sfruttamento upstream già attivi all'entrata in vigore del divieto del duemiladieci, a tutta la durata di vita del giacimento. Un tempo indeterminato senza che l'autorità pubblica possa interrompere tale rapporto, neppure per giusta causa: una sorta di articolo 18 iper-rafforzato a favore delle multinazionali energetiche (gira strano il mondo...).
Il prossimo diciassette aprile, con un SÌ, potremo decidere di abrogare questa modifica apportata dalla legge di stabilità. La vittoria del SÌ non pone ulteriori divieti, non chiude alcuna attività, ma semplicemente restituisce allo Stato il potere di tutelare l'interesse generale attraverso lo strumento della concessione che, per sua natura, non può che avere una scadenza, perché altrimenti trattasi di donazione e lo Stato non può donare un bene che non gli appartiene, poiché è di tutti. Il legame con il TTIP è forse ora più chiaro, votare SÌ per ribadire un principio sacrosanto e cioè che l'interesse economico particolare, seppur con ampi benefici diffusi, non deve prevalere a priori su quello generale. Votare SÌ per affermare che un contratto commerciale subisce limiti scritti e non scritti dell'interesse pubblico, che nessun arbitrato privato potrà mai cancellare.
Marco Lombardi