L’idea di macchinazione – di un piano criminale dalla perfezione diabolica, predisposto da forze potenti e occulte – trascina a volte con sé il sospetto della follia. E non perché le macchinazioni non possano realmente verificarsi; ma perché si sa che sono i folli, i deliranti, i paranoici, a credere nelle macchinazioni, anche le più fantastiche.
Ciò premesso, mi guardo bene dall’accusare di follia David Grieco, che nel suo film, da vari punti di vista pregevole, La macchinazione ha voluto raccontare e interpretare l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, come il risultato di una congiura, che avrebbe coinvolto in una qualche misura uno dei potenti dell’Italia degli anni Settanta, Eugenio Cefis, come si sa presidente dell’ENI e poi della Montedison (Cefis era uno dei personaggi del romanzo che Pasolini stava allora scrivendo, Petrolio, per il quale utilizzava come una delle fonti un libro di denuncia contro Cefis, fatto sparire appena uscito in libreria). Insieme a lui, avrebbero fatto parte della congiura servizi segreti e forze politiche alleate o controllate da Cefis; bande criminali; ragazzi vicini agli ambienti fascisti, utilizzati come manovalanza; e infine Pino Pelosi, il ragazzo con cui Pasolini aveva una relazione, che sarebbe stato costretto ad assumersi la responsabilità dell’omicidio.
Sulla veridicità di tale ricostruzione non può evidentemente pronunciarsi il critico cinematografico. È materia per magistrati, per giornalisti e per storici.
Tuttavia, certi passaggi del racconto di Grieco sfidano a tal punto il senso della verosimiglianza del comune spettatore (penso per esempio a quel sistema di registratori occultati a Villa Borghese, per ascoltare a distanza la conversazione di Pasolini con l’autore del libro su Cefis), che la realtà mostrata dal film finisce comunque per somigliare a un’allucinazione. (Ed è un effetto che sembra perseguito ad arte. La stessa musica, molto bella, dei Pink Floyd che accompagna tutto il film, crea un effetto di distorsione).
Pasolini paragona Petrolio, il suo romanzo che uscirà postumo e incompiuto, a una visione da incubo, infernale, che si dilata nella sua immaginazione, riversandosi in migliaia di pagine scritte. Una visione, certo, alimentata dall’Italia di quegli anni (di cui il film restituisce con suggestione il clima), nella quale dilagava la violenza, che fosse quella dei sottoproletari delle borgate, degli scontri armati tra comunisti e fascisti, delle cosiddette “stragi di Stato”. Quella violenza a cui vediamo Pasolini esporsi temerariamente, sia come scrittore intrepido, sia attraverso le sue frequentazioni notturne.
Forse con più decisione David Grieco avrebbe dovuto preferire al realismo, il registro del sogno, o appunto dell’incubo, che a ben guardare si confà al clima storico che lui evoca.
Nella “Macchinazione”, come in un film dell’orrore, Pasolini sarà inghiottito in un incubo, fino a morirci dentro.
Il ruolo di Pasolini è interpretato con molta finezza da Massimo Ranieri.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 26 marzo 2016
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