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Nicolás Guillén. Poesia con bambini
21 Marzo 2016
 

A Vincente Martínez

 

 

La scena, in un salotto familiare. La madre, bianca, e suo figlio. Un bimbo nero, uno cinese, uno ebreo, che sono di visita. Tutti attorno ai dodici anni di età. La madre seduta, cuce, mentre accanto, i bimbi giocano con alcuni soldatini di piombo.

 

 

I

LA MADRE. (Rivolgendosi al gruppo) Non vedete? Qui stanno meglio che là, in strada... Non so come mai ci sono madri che non si preoccupano, che lasciano i loro figli soli tutto il giorno per le strade di Dio. (Si rivolge a un bimbo nero.) E tu come ti chiami?

IL NERO. Io? Manuel (Indicando il cinese.) E lui si chiama Luis. (Indicando l'ebreo.) E lui si chiama Giacobbe...

LA MADRE. Be’, sei proprio informato, eh? Vivi qui vicino?

IL NERO. Io? No, signora. (Indicando il cinese.) Neppure lui. (Indicando l'ebreo.) Né lui...

L'EBREO. Io vivo lungo calle Acosta, vicino al Terminal. Mio papà è calzolaio. Io voglio diventare medico. Ho una sorellina che suona il piano, ma siccome in casa non c'è un piano, va sempre a casa di un'amica, che ha un piano a coda. L'altro giorno gli ha procurato un dolore...

LA MADRE. Al piano a coda o alla tua sorellina?

L'EBREO. (Ride.) No; all'amica della mia sorellina. Io sono andato a cercare il dottore...

LA MADRE. Caspita! Ma ora si è curata, vero?

L’EBREO. Sì; si è curata subito; non era un dolore molto forte…

LA MADRE. Meglio così! (Rivolgendosi al bimbo cinese.) E tu? Raccontami un po'. Tu come ti chiami?

IL CINESE. Luis…

LA MADRE. Luis? Ah, è vero, poco fa lo stava raccontando quel malandrino di Manuel… Ma tu sei proprio cinese di Cina, Luis? Tu sai parlare cinese?

IL CINESE. No, signora; mio padre è cinese, ma io non sono cinese. Io sono cubano, e pure mia madre.

IL FIGLIO. Mamma! Mamma! (Indicando il cinese.) Suo padre aveva un'osteria, ma l'ha venduta...

LA MADRE. Sì? E tu come lo sai, Rafaelito?

IL FIGLIO. (Indicando il cinese.) Perché me l'ha detto lui. Non è vero, Luis?

IL CINESE. Vero, gliel’ho detto, perché mamma me l’ha raccontato.

LA MADRE. Bene, andate a giocare, ma senza litigare, eh? Non voglio bisticci. Tu, Rafael, non prendere i soldatini solo per te, fai giocare anche loro…

IL FIGLIO. Sì, mamma, li ho già divisi. Ce ne toccano sei a testa. Adesso facciamo una pausa, perché i soldatini stanno marciando verso la guerra…

LA MADRE. Bene, non litigate, e non mi chiamate, perché sono là dentro... (Se ne va.)

 

 

II

I bambini, soli, parlano mentre giocano con i loro soldatini.

IL FIGLIO. Questi soldatini me li ha regalati un capitano che vive qui di fronte. Me li ha dati il giorno del mio santo.

IL NERO. Io non ho mai avuto soldatini come i tuoi. Ascolta: non vedi che sono tutti uguali?

L’EBREO. Certo! Perché sono di piombo. Ma i soldati veri…

IL FIGLIO. Cosa?

L’EBREO. Sicuro che sono diversi! Alcuni sono alti, altri più piccoli. Se sono uomini…

IL NERO. Sì, signore; gli uomini sono diversi. Alcuni sono grandi, come dice lui, altri più piccoli. Alcuni neri, altri bianchi, altri ancora gialli (indicando il cinese) come lui... L'altro giorno in classe la mia maestra ha detto che i neri sono inferiori ai bianchi... Mi sono così vergognato!...

L'EBREO. Sì... Anche un tedesco che possiede una farmacia in calle Compostela mi ha detto che ero un cane, e che avrebbero dovuto uccidere tutti quelli della mia razza. Io non lo conosco e non gli ho mai fatto niente di male. E neppure mia madre e mio padre... Aveva davvero un pessimo carattere!...

IL CINESE. Pure a me la maestra ha detto che la razza gialla è inferiore a quella bianca… la bianca è la migliore…

IL FIGLIO. Sì, io l'ho letto in un libro che possiedo; un libro di geografia. Ma dice mia madre che sono balle; che tutti gli uomini e tutti i bambini sono uguali. Io non so davvero come stanno le cose, ma guarda bene, non vedi? Io ho la carne di un colore, tu (si rivolge al cinese) di un altro, tu (si rivolge al nero) di un altro, e tu (si rivolge all'ebreo) e tu... Ma guarda che strano! Tu no, tu sei bianco come me!

L’EBREO. È vero; ma dicono che siccome ho il naso un po’ così…, non so…, un po’ lungo, per questo sono inferiore ad altre persone che ce l’hanno più corto. Un vero guaio! Io mi guardo intorno, vedo uomini e ragazzi pure loro con il naso lungo, e nessuno dice niente…

IL CINESE. Perché sono cubani!

IL NERO. (Rivolgendosi al cinese) Sì... Anche tu sei cubano, ma hai gli occhi a mandorla come i cinesi...

IL CINESE. Perché mio padre era cinese, animale!

IL NERO. Allora tu non sei cubano! E non devi chiamarmi animale! Vattene a Canton!

IL CINESE. E tu vattene in Africa, nero!

IL FIGLIO. Non gridate, che viene mamma, e dopo si mette a litigare!

L’EBREO. Ma tu non vedi che questo nero l’ha chiamato cinese?

IL NERO. Taci, cane ebreo, che tuo padre è calzolaio e la tua famiglia…!

L’EBREO. E tu, carbone di pietra, e tu, scimmia, e tu…

(Finisce in rissa. Tutti si azzuffano. Appare la madre, correndo.)

 

 

III

LA MADRE. Cosa sta succedendo? Siete diventati matti? Rafaelito, vieni subito qui! Che cosa accade?

IL FIGLIO. Niente, mamma, hanno litigato per il colore…

LA MADRE. Come sarebbe a dire per il colore? Non ti comprendo…

IL FIGLIO. Sì, ti dico per il colore, mamma…

IL CINESE. (Indicando il nero) Signora, perché lui mi ha chiamato cinese e mi ha detto di andarmene a Canton!

IL NERO. Sì, e tu mi hai chiamato nero e mi hai detto di andarmene in Africa…

LA MADRE. (Ridendo.) Incredibile! Sarà mai possibile? Se siamo tutti uguali!...

L’EBREO. No, signora; io non sono uguale a un nero…

IL FIGLIO. Vedi, mamma, quel che accade per il colore?

IL NERO. Io non sono uguale a un cinese…

IL CINESE. Guardalo! Neppure io voglio essere uguale a te!

IL FIGLIO. Lo vedi, mamma, lo vedi?

LA MADRE. (In tono autoritario) Silenzio! Seduti e ascoltate!

(I bambini ubbidiscono, seduti per terra, vicini alla madre, che comincia):

 

Il sangue è un mare immenso

che bagna tutte le spiagge…

Sopra il sangue vanno gli uomini,

navigando nei loro barconi:

remano, remano e remano,

mai di remare cessano!

Al nero di nera pelle

il sangue il corpo gli bagna;

lo stesso sangue, scorrendo,

bolle sotto carne bianca.

Chi ha visto la carne gialla,

quando le vene scoppiano,

sanguinare se non con il rosso

sangue con cui tutti sanguinano?

Ah, quel che separa i bambini,

pure gli uomini separa!

Il sole esce ogni giorno,

bussa di casa in casa,

dà un colpo con il bastone,

e libera una risata…

Che esca la vita al sole,

da dove la conservano,

e vedrai come la vita

corre dal sole impregnata!

La vita saltando,

la vita libera e senza ostacoli,

vita della carne nera,

vita della carne bianca,

e della carne gialla,

con il loro sangue disteso…

 

(I bambini, affascinati, cominciano ad alzarsi, vanno intorno alla madre che li abbraccia forma con loro dei gruppi, disposti intorno a lei. Continua):

 

Sopra il sangue vanno gli uomini

navigando nei loro barconi:

remano, remano e remano,

mai di remare cessano!

Ah, chi non ha sangue,

perché di remare smette,

e se smette di remare,

consegna il corpo alla spiaggia,

un corpo secco e vuoto,

un corpo distrutto e senz’anima,

un corpo distrutto e senz’anima!...

 

(da El son entero, 1947)

Traduzione di Gordiano Lupi


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