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“Da Senigallia a Kobane. Insieme ai Curdi” 
L’esperienza di Karim Franceschi al CIA "A. Manzoni" di Milano
06 Marzo 2016
 

Sono quei momenti che ti cambiano profondamente… Ho avuto fortuna. Molti dei miei compagni sono morti, in quei tre mesi che ho passato a Kobane e nel Rojava”.

Così, ha sussurrato Karim Franceschi, dopo la lettura di un brano del suo libro Il combattente in cui racconta come si sia dovuto accucciare dentro una buca coperta da un telo per nascondersi dalle milizie dell’Isis che si trovavano a qualche decina di metri.

Questo è stato solo uno dei tanti istanti di vera emozione che ha caratterizzato l’incontro “Da Senigallia a Kobane. Insieme ai Curdi. L’esperienza di Karim Franceschi” organizzato da Civico Centro di Istruzione per l’Adulto e l’Adolescente “A. Manzoni”, tenutosi il 2 marzo scorso presso la sede di via Deledda 11 a Milano.

La serata, inserita nel percorso “Punti di vista”. Una scuola alla ricerca della verità storica, intrapreso dal CIA “A. Manzoni” tre anni fa, è iniziata con i saluti della dott.ssa Silvia Corniglia - Preside della Scuola - e della dott.ssa Sabina Banfi, Direttore del Settore Servizi Scolastici e Educativi del Comune di Milano. Ed è poi proseguita con l’intervento della dott.ssa Patrizia Quartieri (Consigliere delegata all’Istruzione per la Città Metropolitana) che, oltre a portare il convinto assenso all’iniziativa da parte di Francesco Cappelli, Assessore all’Educazione e all’Istruzione del Comune di Milano, ha introdotto l’incontro presentando la questione curda e la sua tragica attualità. Un argomento ripreso da Hazal Koyouncuer, rappresentante della Comunità Curda Milanese, che ha scandito le tappe storiche della vicenda: dal “tradimento” del trattato di Sèvres del 1920 che prevedeva la creazione di uno Stato autonomo fino alla feroce repressione turca e all’impossibilità da parte dei Curdi di potere avere persino il loro nome nella propria lingua. Per concludere con la situazione di Õcalan, leader del PKK detenuto da anni in assoluto isolamento all’interno di un carcere di massima sicurezza.

Serena Tarabini dell’Associazione Randa ha invece posto l’attenzione sulla manifestazione che si terrà il 20 marzo a Milano (ore 14.00, piazza San Babila) per denunciare la politica praticata dal presidente turco Ìrdogan nei confronti dei Curdi e per chiedere all’UE di togliere il sostegno anche economico (dopo i miliardi di euro concessi per l’emergenza immigrazione) dato alla Turchia. Quindi, ha posto l’accento sulle molte iniziative umanitarie che l’Associazione Randa promuove nel Rojava. Ed è proprio parlando di questo territorio posto a nord della Siria che ha cominciato il suo intervento Karim Franceschi. Il quale, proprio per andare a difendere il Rojava dall’Isis, nel gennaio 2015 è partito da Senigallia (dove vive), ha attraversato il confine turco ed è giunto a Kobane, città allora parzialmente occupata dalle truppe del Califfato.

Il Rojava è un’area abitata soprattutto da Curdi ma anche da altri popoli arabi in cui si sta sperimentando una pacifica convivenza basata sulla democrazia diretta, l’uguaglianza di genere e la sostenibilità. Rappresenta una speranza per il futuro di questa parte del mondo ma anche un modello da imitare dovunque”, ha detto Franceschi. Che poi ha mostrato un promo di alcuni minuti girato in quei giorni, un’esperienza narrata ne Il combattente (BUR-Rizzoli).

I moltissimi studenti che hanno affollato l’Aula Magna seguendo in assoluto silenzio le parole degli oratori e di Franceschi, lo hanno poi tempestato di domande sia generali sia personali. E Karim ha risposto affrontando temi geopolitici, come il finanziamento dell’Isis attraverso la vendita di petrolio agli occidentali e la mancata volontà degli stessi di approfittare della vittoria dello scorso anno per scacciarlo del tutto dall’area. Ma anche familiari, spiegando come il suo nome di battaglia, Marcello, fosse quello che suo padre aveva pensato di dargli alla nascita a Marrakech, salvo poi rinunciare perché all’anagrafe marocchina non sono previsti due nomi. Oppure spiegando che alla madre, preoccupata per la sua partenza, aveva assicurato che avrebbe solo scavato buche senza recarsi in prima linea. Dove, invece, fu subito catapultato dopo pochi giorni di addestramento nell’Ypg (Unità di protezione del popolo), sparando ininterrottamente per tre giorni quando l’Isis sferrò l’attacco decisivo, drammaticamente respinto. Lui che, prima, non aveva mai visto un’arma se non nei videogiochi.

La lettura della triste storia di Arin, madre di due bambini che ha combattuto fino al sacrificio contro i soldati dell’Isis, ha poi permesso a Franceschi di parlare dell’importantissimo ruolo della donna all’interno di questa guerra ma anche nel Rojava. E la riflessione che il conflitto contro l’Isis coinvolge tutti ha chiuso un incontro che sarebbe assolutamente da proporre in tutte le scuole per la sua forte valenza storica e civile nonché per l’argomento di scottante attualità di cui si occupa.

Saludi


Mauro Raimondi


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