L'altra settimana se n’è andato Umberto Eco.
La macro-concentrazione editoriale Repubblica e Stampa il-polo-del-futuro lo omaggia come cultura della leggerezza. Pesiamo la sua leggerezza nel commento al suo Pape Satàn Aleppe:
Una parola sul titolo. La citazione è evidentemente dantesca (“Pape Satàn, pape Satàn aleppe”, Inferno VII, 1) ma, com’è noto, benchè schiere di commentatori abbiano cercato di trovare un senso a questo verso, la maggior parte di essi ritiene che esso non abbia alcun senso preciso. In ogni caso, pronunciate da Pluto, queste parole confondono le idee, e possono prestarsi a qualunque diavoleria. Mi è parso pertanto comodo usarle come titolo di questa raccolta che, non tanto per colpa mia quanto per colpa dei tempi, è sconnessa, va – come direbbero i francesi – dal gallo all’asino, e riflette la natura liquida di questi quindici anni.
Io riconosco all’intellettuale della società di massa il giusto riconoscimento della liquidità, senza approfondirne l’aspetto materiale. Tuttavia, bis repetita, davanti alla ripetizione dell’errore de Il nome della rosa, venduto in cinquanta milioni di copie, io mi domando: che peso ha Eco?
Vediamo una postilla al libro più famoso del buon narratore:
L’idea del Nome della rosa mi venne quasi per caso e mi piacque perché essa è una figura simbolica così densa di significati da non averne più quasi nessuno: rosa mistica, e rosa ha vissuto quel che vivono le rose, la guerra delle due rose, una rosa è una rosa è una rosa è una rosa, i rosacroce, grazie delle magnifiche rose, rosa fresca aulentissima. Il lettore ne risultava giustamente depistato, non poteva scegliere una interpretazione; e chi anche avesse colto le possibili letture nominaliste del verso finale ci arrivava appunto alla fine, quando già aveva fatto chissà quali altre scelte. Un titolo deve confondere le idee, non irreggimentarle.
Se Eco fosse stato coerente a questo proposito non avrebbe scritto La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, che secondo lui non esiste e secondo me è il sumero-accado. In queste lingue ru-sha, da pronunciare rosa, è ‘utero-sacro’.
La rosa mistica del Rosario ne risulta spiegata immediatamente, come la donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi davanti al drago dell’apocalisse, satan.
E qua abbiamo anche la spiegazione – dal gallo all’asino (lu.galà gallu, ‘umanità civile’ in zumero, a.sin.u, ‘seme. unione. tutto’) di pape satàn: Antasubba è il demone della perdita della conoscenza, che esce ba.bu satàn dalla sua lettura circolare!
Dunque, la società liquida corre verso la concentrazione editoriale nel pensiero a senso unico, denunciato da Marcuse 50 anni orsono, nella incredibile leggerezza del non senso di Eco.
Carlo Forin