Firenze – Dopo che l'Istat ci ha fatto sapere che c'è un certo calo delle nascite nel nostro Paese (sembra che sia il minimo storico dall'unità dello Stivale), abbiamo letto le cose più incredibili e mediamene ottuse che si possano immaginare in materia. Le motivazioni sono quasi tutte di preoccupazione economica, dando la colpa alle politiche sbagliate in merito, politiche che non incentiverebbero la figliazione se non in età più tarda rispetto alle medie dei decenni precedenti e quindi inferiore, politiche che fanno andar all'estero molti italiani che, mediamente, rispetto alla tradizionale emigrazione post-seconda guerra mondiale, tornano in patria molto meno, fino a politiche che non trattengono gli immigrati, attratti da Paesi più vivibili per loro al nord del nostro continente europeo.
Abbiamo scritto “politiche mediamene ottuse”, pensando ad un mondo che si ferma alle sponde del Mediterraneo e alle Alpi e, soprattutto, come se, nel nostro vicino Medio Oriente, non stesse accadendo nulla e i fuggitivi da morte e fame non ci chiedessero aiuto, o altrettanto nulla, sul piano demografico, stesse accadendo -solo per fare un esempio di macro economia- in India e Cina. La medesima ottusità, probabilmente, che, a fronte di una crescita smisurata e incontrollata della natalità mondiale, non è escluso che prenda in considerazione -positivamente- quei dati Unicef che proprio l'altro giorno ci hanno ricordato che, a causa della siccità, solo in Africa sono in pericolo di vita un milione di bambini.
Siamo irriverenti nel valutare in modo così cinico i fatti e la lettura degli stessi dai tanti opinionisti allarmati per il calo demografico italiano? Crediamo di no, così come crediamo che siano invece incoscienti quelli che si preoccupano e ipotizzano non si sa quali politiche di ripopolamento, quasi si parlasse di una zona devastata dopo una deforestazione climatica.
Non stiamo a riportare i dati della sovrappopolazione mondiale (facilmente rintracciabili dopo una veloce ricerca in Rete), ma ricordiamo solo che sono impressionanti e drammatici. Quindi, se viviamo in una società ed in un economia globalizzate, perché dovremmo allarmarci se in un piccolo brandello del Pianeta (l'Italia), si registra un calo di natalità indigena? Dovremmo esserne invece contenti, perché forse in questo nostro territorio gli appelli e gli avvertimenti che arrivano da tutti gli organismi mondiali per ridurre la natalità vengono presi in maggiore considerazione che altrove... ma, si sa, le vedute e i nasi qui spesso sono corti, e si fermano alle coste sud della Sicilia e ai villaggi alpini delle regioni nordiche dello Stivale. Il resto sembra non contare.
Noi non siamo demografi e non abbiamo responsabilità Onu in materia, quindi non abbiamo ricette per motivare meglio questa nostra sorta di irriverenza. Siamo solo osservatori che non hanno nessun problema di etnia, lingua o abitudini da preservare contrastandone altre (nell'ambito, ovviamente di un rapporto pacifico e non violento tra gli esseri umani). Registrare quindi quanto ci dice oggi l'Istat ci fa sperare che una maggiore consapevolezza di sopravvivenza planetaria pacifica sia più diffusa nel nostro territorio che altrove. E questo non vuol dire che sosteniamo che fare ed avere figli siano un dato negativo, ma che sia invece molto negativo doverli fare -come si diceva una volta e come sembra che sia tornato in voga- per la patria... anche se non ci sono più le baionette da mettere nelle mani dei piccoli quando riescono a sgambettare; baionette che invece -e questo è sì uno dei grandi problemi demografici- vengono sempre più diffusamente elargite a piccoli sgambettanti nel mondo, anche e soprattutto se essi non vivono nelle nostre città, tra le Alpi e il Mediterraneo.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc