Carol e Therese sono due donne molto diverse l’una dall’altra: la prima appartenente alla borghesia newyorkese degli anni ’50, è una signora matura, dal carattere forte, determinata ad affermare se stessa nella vita, al di là delle convenzioni e di un cammino intrapreso ma considerato ormai fallimentare, che la vede sposata ad un marito che la ama ancora e madre di una figlia piccola. Therese, invece, giovane commessa dei grandi magazzini e aspirante fotografa, ci appare alle prese con un destino ancora tutto da costruire, timida, non del tutto consapevole, fidanzata senza troppi ardori con un coetaneo che immagina per sé e per lei il classico, tranquillo ménage delle coppie middle class di quegli anni.
Ma sarà l’incontro semplice tra le due protagoniste a segnare l’affermazione finale di Carol e la maturazione di Therese.
In un susseguirsi di occasioni in cui pian piano si creerà confidenza e interesse reciproco a una conoscenza autentica, che faccia entrare nelle rispettive vite e preveda un tempo da trascorrere insieme, sentendosi capite e apprezzate, lo spettatore vede nascere con estrema naturalezza un sentimento profondo d’amore fra le due donne. Una relazione che troverà l’opposizione di una società dove impera il bigottismo, il giudizio morale, la condanna, soprattutto se a monte vi è già una relazione socialmente accettata come il matrimonio, e il matrimonio borghese, accompagnato per di più dal ruolo incorruttibile di madre. Ruolo che viene, invece, messo a repentaglio per i benpensanti, se a rivestirlo è una madre dalle condotte omosessuali, tanto da considerarne ricattabile la sussistenza, per mezzo di una causa morale che preveda o meno l’affidamento dei figli… Tutto succede in quegli anni, ma siamo certi che non accada spesso ancor oggi, nel 2016, in Italia come in tanti luoghi del mondo?
Patricia Highsmith scrisse questo romanzo nel 1952 e, nonostante la sua personalità di certo temeraria e il successo che già poteva vantare, lo scrisse sotto pseudonimo, come Claire Morgan.
Alla Highsmith, considerata a ragione un’ottima autrice di thriller psicologici, l’Europa attribuirà riconoscimenti e onori; molto meno i suoi Stati Uniti, dove la critica le opporrà spesso un giudizio negativo per le tematiche decisamente forti delle sue opere, sempre tese a scavare oltre la superficie delle situazioni e dei personaggi, oltre la semplicistica divisione tra bene e male. Per la morale dell’epoca, impegnata negli anni ’50 alla caccia alle streghe, temi a volte addirittura disturbanti. E in modo particolare disturbante sarà questo libro, per il quale in seguito la Highsmith racconterà di essersi ampiamente ispirata alla propria biografia.
Con una regia discreta e una fotografia attenta a mettere in luce sguardi e primi piani convincenti e a tratti poetici delle due protagoniste – ottime interpreti, forti di una recitazione mai forzata e dell’aura suadente di Cate Blanchett come della grazia ingenua di Rooney Mara – il film di Todd Haynes non insegue sterili voyeurismi o scene di sesso e passione furente, ma piuttosto con delicatezza ci fa entrare in ciò che è la parte ancora più intima di ogni essere umano: il cammino verso la propria unica e inestimabile identità, fino a riconoscere se stessi in ciò che si è, si pensa e si fa. Naturalmente, quindi, anche in chi e come si ama.
Annagloria Del Piano
Carol, il film di Todd Haynes tratto dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith, verrà presentato agli Oscar 2016 con ben sei candidature: quella per miglior attrice protagonista e non protagonista, rispettivamente di Cate Blanchett e Rooney Mara, per la miglior sceneggiatura non originale di Phyllis Nagy, per la miglior fotografia di Edward Lachman, per i costumi di Sandy Powell e per la colonna sonora di Carter Burwell.