I papi che ricordo personalmente sono: Pio XI, Pio XII, Giovanni, Paolo VI, Luciani, Woytila, Ratzinger, Francesco.
Personalità molto diverse, tempi cambiati, personaggi sempre significativi e influenti nella politica italiana. Da noi il potere temporale non è mai scomparso del tutto, dato che esiste uno stato della Chiesa, che appunto esercita un potere statale entro gli stessi confini della repubblica democratica vigente.
Per questo penso che bisognerebbe riprendere il discorso sull'art. 7 della Costituzione, soprattutto alla luce del pontificato di papa Montini, la figura più eminente -sotto il profilo teologico- tra tutti. Non lo si riconosce di solito perché Montini era un tipo timido e introverso, pieno di dubbi e incertezze, niente affatto telegenico, niente affatto capace di volgere a vantaggio delle sue tesi il potere mediatico. Due sue decisioni sono da valutare con attenzione e favore.
La prima si riferisce al discorso che Paolo VI fece alle Nazioni unite, non all'assemblea generale, ma davanti alla Commissione dove sono accreditate le religioni che ne hanno fatto richiesta e che hanno ricevuto il passi. L'altra è l'Enciclica che Paolo VI scrisse e pubblicò nell'ottantesimo anniversario della Rerum novarum, la celebre prima Enciclica sociale della storia, della quale era stato autore Leone XIII, nel 1882.
Nel discorso davanti alla Commissione delle N.U., Paolo corregge un antico detto del diritto romano, accolto fino ad allora dalla Chiesa, che dice: Si vis pacem, para bellum, col che si legittima la preparazione della guerra per costruire la pace. Sono fondate qui tutte le teorie sulla guerra giusta. Paolo VI fa giustizia di questa opinione e afferma apertamente: “Se vuoi la pace, prepara la pace”, fondamento di un pacifismo intransigente, molto affine a quello che si enuncia al secondo comma dell'art. 11 della Costituzione, che nega che la guerra possa essere usata come “strumento di risoluzione delle controversie internazionali”.
Di non minor portata l'Enciclica Octogesima adveniens, per l'ottantesimo della Rerum novarum. Paolo VI vi afferma che la Chiesa non ha alcuna dottrina sociale in proprio, alla quale far riferimento, difendere, propagandare, appoggiare, trattare, ma è solo “esperta in umanità”. Si tratta di una presa di posizione molto coraggiosa, che richiama la Chiesa alla sua missione di salvezza e non di esercizo dei poteri mondani. Del resto Leone XIII aveva emesso la Rerum novarum preoccupato dell'opposizione forte che praticamente tutti i vescovi stavano facendo contro il sindacato operaio, considerato figlio del demonio. Leone XIII interpella tutti i vescovi e incontra un diffuso no, tranne che in mons. Ketteler, vescolo belga e in un prete cattolico austriaco, Kolping, che lavorava in mezzo agli operai. Leone usando il suo indiscutibile potere dottrinale, dichiarò che -benché fossero meglio le corporazioni che durante il Feudalesimo la Chiesa aveva lanciato per moderare il potere assoluto dei padroni, riconoscendo alcuni diritti a chi lavora sotto padrone- pure i sindacati non erano affatto da bandire condannare vietare.
Anche sulla famiglia la dottrina è di origine non scritturale, ma si appoggia alla scuola giuridica giusnaturalistica, oggi considerata superata, e ammette che vi sono state e vi sono nella storia e nei luoghi assai differenti forme di famiglia, che non è da confondere con la riproduzione, dato che il suo fine primario è il mutuo scambio amoroso e solo il secondo la prole (l'ordine delle priorità è stato capovolto dal Concilio vaticano II. Ieri mattina, si può dire).
Lidia Menapace