È l’aprile del 1938. Da qualche giorno l’Austria è stata annessa al Reich. Vienna è invasa dalle truppe naziste; gli Ebrei vengono perseguitati ovunque. Sigmund Freud, il famoso psicanalista - interpretato da uno strepitoso Alessandro Haber - è molto malato, un cancro alla gola lo abbatte, insieme alle terribili notizie che si affastellano ogni giorno, ogni momento. Si sente stretto in una morsa, quella della decisione di andarsene o meno dall’Austria, di tentare di mettersi in salvo, insieme all’amata figlia Anna, di accettare la vergogna della sopravvivenza, grazie alla fuga.
Minato così nel corpo e nello spirito, con Anna portata via all’improvviso da un ufficiale della Gestapo, Freud è un uomo nudo, come tutti, come ognuno nell’ora della disperazione, e a nulla sembra più contare la sua celebre capacità di analisi, di ricerca di equilibrio, di cura…
È in questa situazione che d’un tratto si ritrova in casa, nel suo stesso soggiorno, un visitatore inaspettato, Alessio Boni, istrionico e allegro comprimario in questa pièce tratta dall’opera Il Visitatore di Eric Emmanuel Schmitt, che ha il merito di affrontare con dialoghi leggeri temi dal forte contenuto filosofico, conducendo lo spettatore in una dissertazione che tocca i temi della fede e della sua assenza, delle responsabilità dell’uomo e di Dio, di fronte al male, del coraggio e della disperazione.
Dopo una breve resistenza, Freud, stupefatto, cede al sospetto di avere di fronte a sé niente meno che Dio, quel Dio da lui sempre negato. La conversazione che ne segue è il fulcro dello spettacolo; con battute serrate, a tratti ironiche, a tratti assai profonde, i due protagonisti si confrontano. Freud avrebbe molto da dire a quell’uomo, se davvero fosse un’incarnazione di Dio: come può restare indifferente di fronte all’orrore? Come può non sentirsi responsabile delle sue creature? E perché si è rivolto proprio a lui? E può forse fare un qualche miracolo, per convincerlo di essere Dio?
Il visitatore, dal canto suo, non intende dare alcuna prova di sé, comportarsi da mago o prestigiatore… Vuole solo parlare con il grande uomo, il sapiente psicanalista, che si è illuso di saper curare ogni cosa, che – al pari degli altri uomini – ha accettato una società che pian piano, nei secoli, ha smesso di limitarsi a sfidare il suo Creatore, finendo per sostituirsi a lui. Per pretendere di governare ogni cosa, la propria coscienza, ma anche ogni avvenimento. Che ha cessato di meravigliarsi ancora di fronte al miracolo che già in sé è la vita. Un’umanità che dovrebbe prendere esempio dai bambini, i quali sempre piangono e fanno domande, mentre gli adulti non sanno più piangere e danno solo risposte.
Una commedia brillante, a dispetto dei temi assoluti coi quali si raffronta, che spesso porta il pubblico al sorriso e che, forte dell’assoluta credibilità degli attori, sa offrire spunti di riflessione che sorgono spontanei. Haber sa affrontare il personaggio vecchio e malato, ma dignitoso e forte ancora della grande fiducia da sempre riposta nella scienza, con maestria. Boni ha l’aspetto e le movenze di un Pinocchio o di un Gian Burrasca, l’eterno ragazzino che forse intende rappresentare l’essenza di un Dio vicino all’uomo, un Dio a cui l’essere umano dovrebbe pensare come dispensatore di tenerezza e amore, non di dispotici dettati da osservare o da seguire come partiture da recitare acriticamente. Un Dio davanti al quale non ci si inginocchia, ma che si inginocchia con l’uomo.
Annagloria Del Piano
Il Visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt
Regia di Valerio Binasco
Con Alessandro Haber (S. Freud), Alessio Boni (il visitatore), Nicoletta Robello Bracciforti (Anna Freud), Alessandro Tedeschi (Ufficiale della Gestapo)
Musiche: Arturo Annechino
Produzione: GoldenArt