Nel sempre più diffuso “straparlamento” di cui ci deliziano giornalisti esperti e patriarchi ignoranti vari, nelle ricorrenti trasmissioni culturali della sera, questa è una di quelle parole “magiche” come sono i termini usati per fare gli scongiuri.
Non entro nemmeno in confronto, il gioco delle carte è una di quelle scienze di cui sono ignorante e non interessata. Dico solo e subito che l'integrazione non si può obbligare, né praticare unilateralmente. Mi pare che molto spesso chiamiamo integrazione quella che è invece assimilazione.
Se pretendiamo che chi arriva da noi in qualsiasi modo e per qualsiasi ragione impari la nostra lingua e ci accertiamo semplicemente del risultato, è assimilazione, che può produrre ex-stranieri che parlano italiano benissimo e quasi ignorano la loro madrelingua, degradata a dialetto domestico. Noi a nostra volta non impariamo nemmeno a dire buongiorno nelle loro lingue. Si chiama assimilazione ed è una pratica imperialistica, di dominio, che spesso produce in una o due generazioni quei famosi “cittadini francesi” che sparano al Bataclan.
L'integrazione è invece impastata di reciprocità, curiosità, desiderio di conoscere i loro costumi, leggende storie ecc. ecc. Ciò non necessariamente mette al riparo da qualsiasi degenerazione razzista, ma di solito serve. Auguri.
Lidia Menapace