Attraverso oltre novanta opere raccolte dalla mecenate Peggy Guggenheim, o donate alla Collezione Peggy Guggenheim dopo la sua scomparsa, la mostra “Postwar Era: una storia recente. Omaggi a Jack Tworkov e Claire Falkenstein” (aperta fino al 4 aprile 2016), curata da Luca Massimo Barbero, offre una lettura attenta e rinnovata dell’arte americana ed europea del secondo dopoguerra al 1979. Attraverso una ricercata selezione delle opere in mostra, alcune raramente esposte, riunite per gruppi e accostate in base a tema, stile, affinità e una cronologia meno classica, è presente una certa sensibilità che va al di là dei movimenti e delle tendenze artistiche.
Il percorso scorre con non poche sorprese lungo le undici sale espositive, trasformando ogni sezione in un ambiente unico. È con gli esiti primi dell’Espressionismo astratto e con opere, quindi, di Willem de Kooning, William Baziotes, Roberto Motherwell e Ricard Pousette-Dart, di cui nel 2016 ricorre il centenario della nascita, che la mostra avvia il suo cammino, proponendo una sala dedicata all’artista americano, ma di origini polacche, Jack Tworkov (1900-1982).
Una ricca serie di lavori su carta e cinque dipinti su tela conducono il visitatore a una profonda riflessione sulla figura della donna d’ispirazione espressionista-astratta dell’artista polacco. Tworkov conosce e frequenta de Kooning sin dagli anni ’30, diventando suo vicino di studio a fine anni ’40: i due artisti esplorano un trattamento cubista-espressionista della figura umana, muovendo verso forme più astratte e una maggiore gestualità.
La narrazione prosegue segnalando l’evidente effetto di questa pittura di origine transoceanica sull’astrazione informale in Europa, con la ricerca su materia, gesto e segno di artisti italiani come Afro, Pietro Consagra, Bice Lazzari, Giuseppe Santomaso, Toti Scialoja, Emilio Vedova. Un approfondimento specifico è dedicato all’opera di Carlo Ciussi, che nella pittura esprime una geometria non costruita secondo i canoni euclidei, ma accordata a una personalissima interiorizzazione della forma vista come immagine possibile della materia cosmica nel suo continuo divenire. Una selezione di opere del secondo dopoguerra inglese, aspetto meno noto della collezione Peggy Guggenheim, documenta la ricerca di scultori come Kenneth Armitage, Reg Butler e Lesile Thornton, e pittori come Alan Davie e Graham Sutherland. Nell’ambito di questo richiamo chiaro ed evidente all’istintiva passione di Paggy per la scultura, è esposta anche la selezione di opere di Mirko Basaldella.
Una delle immagini che rimane più impressa nella memoria dei visitatori del museo è senza dubbio il cancello di metallo e vetro che li accoglie al loro arrivo, commissionato da Peggy nel 1960 a Claire Falkenstein (1908-1997), versatile scultrice americana a cui viene ora dedicato un omaggio.
L’artista americana nel comporre quest’opera d’arte fondamentale nel rapporto con l’edificio e l’ambiente che accoglie, espande la forma, comprimendo lo spazio e sperimentando materiali come vetro, metallo e resina, rivelando così un interesse innato per le infinite possibilità date dal caso e dalla libera scelta nel processo di creazione artistica. Si tratta di una fascinazione che corre parallelamente alle teorie fisico-matematiche dell’espressione dell’universo e della relatività di Einstein, che la scultrice cerca di manifestare attraverso l’opera plastica.
Claire Falkenstein è una delle grandi pioniere e sperimentatrici dell’arte del XX secolo. Figura di rilievo nella scultura americana del dopoguerra, è un’artista prolifica che si misura anche con la pittura, le tecniche di stampa, il vetro, i gioielli e l’architettura. Falkenstein crede nella creatività spontanea, che definisce “un processo imprevedibile”, e si dedica a rendere i concetti di caso, forma in espansione e flusso nelle tre dimensioni, sottolineando il continuo fluire tra la materia e lo spazio ed esplorando sempre nuove tecniche e materiali. Così facendo apre il volume scultoreo sfidando e contribuendo a ridefinire, la nozione di scultura come solido.
Falkenstein inizia la carriera nella baia di San Francisco, ma è solo con il trasferimento a Parigi nel 1950 che la sua arte si sviluppa. Pur continuando a vivere in questa città, sposta lo studio tra Barcellona, Londra, Milano, Roma, Venezia e New York, divenendo una delle prime artiste veramente internazionali del dopoguerra. La svolta arriva grazie al critico e storico dell’arte francese Michel Tapiè che scopre le sue opere e inizia a promuoverla. La sua arte ben rientra nell’ambito dell’art autre, termine coniato da Tapiè nel 1952 per descrivere una nuova forma di espressione artistica che rompe con gli schemi della composizione tradizionale. Il rientro definitivo negli Stati Uniti nei primi anni ’ 60 segna il periodo delle grandi commissioni scultoree pubbliche e private. Nel corso degli anni seguenti Falkenstein è spesso a Venezia per recarsi a Murano e trovare il vetro necessario per le sue opere o collaborare con i maestri vetrai.
Claire Falkenstei nasce il 22 luglio 1908 a Coos Bay, nell’Oregon. Studia all’University of California, a Barkeley, dove si specializza in arte, frequenta corsi complementari di filosofia e antropologia e già prima di laurearsi nel 1930, tiene la sua prima mostra personale alla East-West Gallery di San Farcisco. Negli anni’ 30, mentre insegna per mantenersi, si dedica alla scultura realizzando opere in ceramica che sono tra i primi esempi di scultura non oggettiva in America. Alla prima metà degli anni ’ 40 risale la serie di sculture in legno denominate Exploded Volumes, composte di parti mobili che potevano essere disposte in nuove combinazioni dallo spettatore. Nel 1948 comincia ad insegnare alla California School of Fine Art, dove conosce Clyfford Still, Richard Diebenkorn e altri espressionisti astratti.
Trasferitasi a Parigi nel 1950 vi incontra Jean Arp, Alberto Giacometti e si unisce inoltre a un gruppo di artisti americani, tra i quali Sam Francis e Paul Jenkins, le cui idee e opere sono promosse dall’intellettuale e conoscitore d’arte Michel Tapiè. Con loro discute delle relazioni tra la nuova arte informale e le teorie fisico-matematiche di Einstein, sviluppando una forma di espressione artistica chiamata “Topology”, basata sulla relazione tra la materia e lo spazio. Dalle prime sculture, realizzate saldando materiale di recupero, l’artista giunge, verso la metà degli anni ‘ 50, alle ariose strutture in metallo costruite in forme e dimensioni maggiori.
Nel 1954 la Galleria Montenapoleone di Milano organizza un’importante personale della scultrice che, quattro anni dopo, invitata a organizzare il parapetto della scala della Galleria Spazio di Roma, sperimenta l’inserimento di pezzi di vetro colorato in una struttura reticolare di metallo saldato. Con una tecnica simile, nel 1961 realizza anche i cancelli d’ingresso del palazzo-museo di Paggy Guggenheim a Venezia, nei quali, ripetendo uno stesso modulo in tutte le direzioni, dà origine ad una struttura che sembra continuare all’infinito. Nel 1962 ritorna negli Stati Uniti dove apre uno studio a Venice, in California, ed esegue da allora numerose commissioni pubbliche, come la fontana per il San Diego Art Museum o le vetrate per la St. Basil’s Cathedral di Los Angeles.
L’artista, negli ultimi anni era tornata a dipingere, muore nel 1997.
Maria Paola Forlani