“Nella sua opera non si trova un solo viso umano di cui non abbia volutamente sottolineato il lato spiacevole (…) era un osservatore implacabile ma il suo pennello non mentiva”
Così il noto giornalista Arthur Huc descrive l’arte di Henri de Toulouse-Lautrec, protagonista della grande mostra “Toulouse–Lautrec. Luci e ombre di Montmartre”, ospitata a Palazzo Blu di Pisa fino al 14 febbraio 2016.
La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti è organizzata dalla Fondazione Blu in collaborazione con Mondo Mostre.
Se mai vi è stata un’arte coincidente con la vita, questa è quella di Toulouse–Lautrec; in lui i dati biografici si saldano alle opere e queste, a loro volta, ne offrono quasi un prolungamento intensificato e concentrato. In Lautrec, tra la condotta di vita che lo porta a trascorrere le ore nei luoghi più consacrati alla “vita moderna” di fine secolo e i dipinti che poi realizza nell’atelier, non esiste distanza, intervallo.
L’una vale a illuminare gli altri, a farcene intendere le caratteristiche profonde. Lautrec, rispetto alla vita quotidiana, si pone a livello zero, in una partecipazione solidale, che non si permette di giudicare, di condannare di provocare deformazioni, accentuazioni, se non quelle richieste dal ritmo stesso della vita “moderna”. Una completa parità e solidarietà che lo porta ad avvicinare tra loro i criteri con cui tratta la prostituta e la gran dama.
Henri de Tolouse-Lautrec appartiene alla generazione postimpressionista, visse e lavorò accanto ai futuri maestri del Simbolismo e a un autsider come Van Gogh; la sua cultura e il suo gusto sono tutti dentro quelli del suo tempo, eppure non si potrebbe definire postimpressionista e tanto meno simbolista. E la ragione profonda sta proprio in questo suo essere artista nella vita, nel suo vivere l’arte come quotidianità e norma, come moralità e affetti. Questo suo modo d’intendere l’arte e il mestiere di pittore nasce dalla disgrazia, dalla solitudine, dalla diversità.
Negli anni terribili dell’immobilità, dopo le irrimediabili fratture, lo salva questa voglia di partecipare alla vita almeno disegnando.
È come un impulso a fermare le immagini, le suggestioni di una vita che non può godere altrimenti e questo impulso – fortunatamente – è secondato da una vera vocazione e da un talento indubitabile. Così, Lautrec si salva e rimane nel mondo, tra gli uomini, con gli uomini.
Un talento coltivato con disciplina e consapevolezza, con la capacità di assorbire quanto gli è congeniale e quanto invece gli è estraneo e potenzialmente dannoso…Toulouse-Lautrec non è naïf, un ingenuo; il suo dilettantismo di aristocratico amante dell’arte si tempra ben presto alla disciplina anche accademica, e ben presto egli è in grado di riconoscere i suoi maestri e saranno Manet, così denso e fermo nella struttura e nel contorno, e Degas, così audace nell’impaginazione, negli scorci, nel taglio fotografico e “cinematografico”.
Ma Lautrec non è, non può essere, soltanto un seguace postumo degli eroi dell’Impressionismo, è anche colui che cambia le loro strutture, i loro risultati. Del resto, la sua stessa prima vocazione gli impedisce di essere un impressionista ‘d’osservanza’, ovvero quella vocazione al disegno che fin da bambino lo spingeva a esprimersi prima con la matita e poi con le parole. E, ancora, la sua scelta ‘notturna’, abitata da personaggi che sono protagonisti, da creature in carne e ossa, è fondamentalmente opposta all’atmosfera aperta, vibrante di luce solare e di verde campestre, degli Impressionisti.
Così la sua pittura rinuncia alle sottigliezze di fotografica precisione e concentra tutta la sua attenzione, tutta la sua intensità, sul personaggio in primo piano, mentre lo sfondo si riduce a un brulicare di segni, di pennellate che, più che l’ambiente, sembrano disegnare lo stato psicologico dei protagonisti. Ed è evidentemente qui anche l’influenza delle stampe giapponesi, del loro linearismo dinamico, della loro accentuazione fisionomica.
Lautrec si consacra ai volti, ai corpi, ai colori, che narrano la pittoresca e sempre inesauribile commedia sociale, di cui per primo è parte e attore. Prima le tematiche del Circo, poi l’altro tema, anzi l’altro mondo e cioè quello dei cabaret, del teatro, del music-hall dove trova le tracce, i corpi, l’ambiente per esprimere le sue urgenze di sintesi e di modernità umana. Dal 1886 è amico di Aristide Bruano, cantautore, attore satirico e cabarettista al Mirliton; dal 1889 è assiduo al Moulin-Rouge dove si balla il can-can e la Goulue (Luise Weber, 1870-1929) guida le danze con scatenata vitalità.
Da questi locali – anche il Jardin de Paris, con Yvette Guibert e Le Divan Japonais, con Yvette Guilbert – e dai bordelli con le loro ‘ospiti’, Lautrec trae le scene, le atmosfere per i suoi lavori, ma anche le diverse tecniche e rese pittoriche, diventando sempre più ‘artificiali’ nel colore: il colore della notte illuminata dalle lampade a gas, dei volti imbellettati per lo spettacolo o per i clienti, “alla ricerca del tempo presente”.
Così come un altro suo grandissimo contemporaneo, Marcel Proust, negli stessi anni, fa il suo apprendistato mondano per ritrovare poi, nel chiuso di una camera, il tempo perduto.
Dal mondo notturno dei locali pubblici nasce anche la sua vocazione grafica, quella per cui diventa famoso subito e ancor più dopo la morte. Lautrec non è l’iniziatore dell’arte dell’affiche, né tanto meno della tecnica litografica, ma è il più audace, innovativo e profondo creatore di manifesti e litografie di quegli anni e il più prolifico: Jean Adhémar, che ne ha curato il catalogo, ha inventariato oltre trecento opere. La prima, del 1891, è il manifesto ufficiale per il ballo al Moulin-Rouge, il locale per cui aveva disegnato anche Chéret. In questo manifesto Lautrec scompagina la normale prospettiva e la fa ‘nascere’ dalla sagoma tortuosa e serpentina di Valentin le Desossé, che nelle rientranze del suo movimento, accoglie e crea lo spazio per la figura della Goulue, che fa esplodere la sua gonna come la corolla di un fiore. In terzo piano, la linea continua del pubblico, con le silhouettes degli spettatori ritagliate nella luce artificiale. E audacissime sono anche le litografie per Jane Avril al Jardin de Paris, con la mano del suonatore che diventa cornice diagonale entro cui si staglia la sagoma della cantante, e per Aristide Bruano, la più straordinaria celebrazione delle glorie dell’abbigliamento.
L’esposizione, divisa in cinque sezioni, presenta la straordinaria avventura umana e artistica di Henri de Toulouse-Lautrec con opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private francesi e internazionali. Oltre 180 opere in mostra per raccontare l’artista di Albi: l’intera raccolta dei suoi più celebri manifesti, numerosi disegni, un’attenta selezione di dipinti e, per la prima volta in Italia, una delle più complete collezioni della sua opera grafica, composta da prime edizioni e numerose litografie con dediche originali dell’artista.
Il percorso espositivo è arricchito da una selezione di opere degli italiens de Paris, capolavori di grandi maestri italiani, tra cui Boldini, Natali, Zandomenighi e Macchiati che, per stile o tecniche, si sono ispirati all’arte di Toulouse-Lautrec. Tra questi il celebre Moulin de la Galette di Federico Zandomenighi.
Maria Paola Forlani