Che Elena Ferrante abbia lasciato crescere intorno alla sua persona una curiosità a cui non c’è risposta -peraltro solo ufficiale-, l’immagine della sua poltrona vuota quando lei è stata finalista al premio “Strega”, senza dubbio giocano a suo favore nella crescita della curiosità stessa, ed anche chi non si presta con facilità al gioco può cadere nei suoi lacci. Quando poi i suoi libri si ricevono in regalo, non esistono giustificazioni a non volerla leggere. Ovviamente non si arriva a tale livello di notorietà se alla base non c’è una buona capacità di scrittura. Questo non si può negare nel caso della Ferrante che lo dimostra con la quadrilogia de L’amica geniale. Ma qui ci fermiamo ai primi tre.
Primi anni del secondo dopoguerra, quartiere degradato della periferia napoletana dove una moltitudine di famiglie popolane intreccia percorsi di vita e destini. Sono così numerose e prolifiche che è necessario continuamente un controllo dei componenti, intelligentemente inserito all’inizio di ogni volume. Ma i personaggi aumentano di volume in volume, perché la Ferrante segue la sua gente fino alla vecchiaia, quindi i gruppi familiari crescono, si sviluppano, si trasformano, mentre in contemporanea si introducono altre persone con cui ovviamente vengono a contatto.
Un grande teatro con continui colpi di scena, come può essere la vita, ma che privilegia l’eccessivo e crea un intreccio da capogiro, che andrebbe bene per una fiction infinita. In questo modo aggancia la curiosità del lettore che, di fronte al diluvio di avvenimenti e trasformazioni, vuol proprio vedere come va a finire, come avviene nelle fiction TV, ma non dovrebbe accadere nella Letteratura.
Le protagoniste in assoluto sono Raffaella Cerullo, detta anche Lina o Lila, ed Elena Greco, detta Lenuccia o Lenù, entrambe classe ’44, cresciute nello stesso rione, la prima figlia di uno scarparo, la seconda di un modesto usciere. Nemiche dapprima, diventeranno amiche inseparabili, indispensabili l’una all’altra, quasi complementari: con loro la vita si diverte con un gioco di avvicinamenti e di separazioni, di ammirazione e di gelosia, di confronto e di competizione, fondamentalmente di amore - odio.
La figura inquietante è Lila, capace di una cattiveria gratuita che ha radici profonde, come di decisioni e scelte le più incredibili e impensate. Dotata di una intelligenza e di una creatività senza dubbio superiori alla media - del resto è l’amica geniale - la sua famiglia non le ha permesso di continuare gli studi, come è avvenuto per Lenù, che arriverà addirittura a laurearsi alla Normale di Pisa. Ma Lila è una straordinaria autodidatta e riesce sempre a sorprendere l’amica di cui non vuol essere da meno, con una forma di riscatto culturale che sente indispensabile, per la sua classe sociale, in quel periodo storico. Carica di una sensualità intrigante, anche in amore Lila diventa competitrice, la sua spavalda insicurezza sa prendere tutto, sa divorare relazioni e sentimenti anche calpestando quelli più profondi di Lenù.
È un contesto dove predomina una violenza verbale e fisica che è espressione di non cultura, dove il dialogo e il confronto sono pressoché impossibili, dove due famiglie detengono il potere economico, una delle quali gestisce prestiti ad usura, non si può far niente al di fuori del loro appoggio. Famiglie che si proteggono e rinforzano tra loro. Su tutto aleggia l’ombra di don Achille Carracci, l’orco delle favole, borsanerista, strozzino, morto di morte violenta.
Se il primo volume segue il periodo dell’infanzia, fino al matrimonio di Lila in età adolescenziale, il secondo -Storia del nuovo cognome- la vede alle prese con il ruolo di madre, con un matrimonio che mostra presto tutte le sue falle, con la crescita culturale di Lenù, in mezzo ad una girandola di situazioni amorose ed economiche che coinvolgono parenti e amici, in un quadro sempre mosso in cui qualcuno esce lentamente dalla situazione di marginalità economica, come specchio dei tempi.
Il terzo volume -Storia di chi fugge e di chi resta- è alle prese con il momento della contestazione del ‘68, delle lotte di studenti e operai, degli attentati terroristici di destra e di sinistra, della instabilità degli anni ’70. La grande Storia passa attraverso la vita e le azioni dei personaggi, sulla scena tornano figure che appartenevano al passato e creano scompiglio e disordine emotivo.
Contrastano le due realtà del Nord e del Sud del nostro paese, avvicinate in modo quasi teatrale dal matrimonio di Lenù con un docente universitario del nord Italia, a codificare un divario economico sociale ancora oggi non colmato. Il terzo volume acquista una concretezza maggiore, aprendosi ad un mondo che supera i precedenti confini. Ma la sensazione di aver letto troppe parole e troppe storie rimane. Il lettore ha seguito pressoché ogni pensiero ed ogni mossa, ha scoperto i contorcimenti più surreali dell’animo umano, in un intreccio quasi surreale che appartiene di più alla commedia. Certamente la Ferrante è riuscita a sorprendere il lettore.
Elena Ferrante