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si celebrano qui le indecisioni, acustiche
sibille, amorfe nelle miniere, eloquenti
i termini del virus, i suoi argenti, argenti
sui pettegolezzi. Certo, il virus rimane a riposo
per anni, gramo si rifugia sotto la parola,
nella zona dorsale di questa: sa il suo anticorpo,
il libero radicale. La parola lo accoglie
serpe in segno, come fa quando vuole dire
si dispiega nell’antro, ora l’attacco, tradimento
che ne cancella le visioni, s’inforna per posarsi
a caldo sul derma della lingua,
bubbone del senso, capitolare al silenzio.
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a rivoltare l’interrogativo, gravano
sul perdurante bagno di zinco, anni, scatole
del gioco a quiz, frecce e punte
investiganti, al fondo della piattezza
ci segnala il subacqueo incedere,
grano del seno, si spinge
alle bidonville coralline; è la caccia
l’aggravio nel tonificarsi della fibra,
statistica del carbonio, che dice gli anni,
elastico traino le spine qui sul dorso,
ci vogliono, a sedare il cantiere di canne
da pesca, le antenne di città nel mare.
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rimane nella risacca e si piega
al peso di infinite cerulee lenze,
si annuncia con gesti il passaggio, esige
che si argini la deriva ormonale,
abbondanza nutriente, un di più di liquida genia.
Custode immune tra le due soglie,
concessioni manifeste, al passo, all’invasione.
E lì, sola alla guida la voce, le sintassi
in ritardo, la descrizione della storia; galleria
d’arte familiare, arte d’abusare, arte.
Sta con la sorella, in quell’istantanea
è visibile ciò che chiama letto, essere
se non un divano di seconda mano,
nel monolocale con bucce di mela sul pavimento,
e formiche. Rifiuti a terra, rifiuti
sul divano, espugnazioni.
Non sognate: incubata la sotterranea
traiettoria che spezza il suo essere sé.
Un Tu, dove la dignità si prostra all’osservare
parti sane o da risanare, vuoti, rieducazioni,
arti assenti, pedagogie speciali.
Ultimo in ordine d’esposizione
(ricordiamo l’art gallery familiare)
prima lettera d’alfabeto, spelling
memorizzato in logopedia
(dalle percosse resa mutuabile)
viene il concepitore dopo ogni sera al bar,
quell’impronta sul naso, rosso
rigagnolo scuro, rosso d’assedio.
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è un omaggio al tenore di vita, riciclo di una sedia
che non quaglia nel salotto, sospesa la sinistra, quella
del taglio, poggiata al sol minore, spazio incomodo
quando allo studio è una Englische Suite. Qui si è perdonati,
si dice, qui nel serbatoio dell’opera, svuotarsi pieno di voglie,
cali d’addome nel farsi della strada, mentre a percuotere
i tasti del pianoforte sono aghi pesati. Februa di meringate
ad ogni allemanda, in famiglia si ebbe l’ingrasso composto
di stanze con sigillo, dove avevano nude consulenze.
Arresi i mestieri, le portulache messe giù come
un esercito, si barricano, sono trilli in crescendo;
apostrofi nelle aiuole come dardi per capello, devoti
«Perdonate, Cataldo, dove avete vangato il cimitero?»
«Becco il mignolo del piede, quello che usava
per tenere lunghe le note. Egli vive tra i denti».
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lo spiazzamento, miope nel progetto della pioggia
l’aria condizionata, ogni condizione ha
necessità di temperarsi, ridurre
l’escursione termica tra nascere
e morire. 24-25 gradi stabilmente
assuefatti al limpidore. Piace
il clima del nord, in mezzo
la fessura che bene spartisce,
la perequazione della spossatezza.
Antinfiammatori, ghiacci,
granulato solubile sulla via
(la curva del dolore ha un apice atteso)