La domanda serpeggia, persino accompagnata da benevole osservazioni sul fatto che il femminismo avrebbe oramai fatto il suo tempo e che volerlo mantenere dopo i disastri provocati, sarebbe solo stupidità, opinione accompagnate da qualche frase ironica da parte di quei non molti uomini capaci di ironia e (merce ancor più rara) di autoironia.
Bene, sono una femminista non pentita e mi sono davvero stufata di essere messa alla prova da simile sfoggio di razionalità e cultura. Osservo che chiamiamo democrazia rappresentativa (di che?) quella in cui non è rispettata una osservazione emessa dalle N.U. circa un anno fa e che dice: «le donne sono la maggioranza stabile della popolazione del pianeta e di ogni paese che lo compone e occupano in maggioranza ovunque gli strati meno favoriti della popolazione». “Ma ora rimedieremo”, dicono i patriarchi gentili, “e chissà se poi è vero”: ho controllato per il nostro paese ed effettivamente dopo l'ultimo censimento le cittadine risultano essere due milioni e passa più dei cittadini. Né si ha notizia di donne presidenti della repubblica né del Consiglio ecc. ecc. Eppure Nilde Jotti sarebbe stata una ottima presidente e non meno Giglia Tedesco (foto) o Tina Anselmi o la Codrignani (molto più di Segni, di Cossiga, di Reale, di Napolitano ecc.). Almeno si riconosca pubblicamente che la Repubblica ci ha perso a non avere mai preso in considerazione candidature di donne. “Adesso rimedieremo” ridicono i soliti già citati patriarchi gentili: ma noi eravamo di più già al tempo del referendum monarchia/repubblica, nel quale risultò che un milione di donne votarono repubblica più degli uomini. E allora quanto dobbiamo aspettare? E se partiamo dalla citata opinione delle N.U., come fare per renderla conseguente nelle decisioni politiche? La domanda se la posero già un secolo e mezzo fa le donne norvegesi, le prime al mondo ad aver ottenuto il riconoscimento del diritto di voto, le quali, non fidandosi che lasciar fare al tempo sarebbe bastato, pretesero e ottennero che le liste promovessero le donne con la “clausola di non sopraffazione di genere”, cioè che non si potessero presentare liste nelle quali un genere avesse più del 60% dei posti e l'altro meno del 40%. Clausola che da noi è stata ribattezzata ironicamente “quote rosa”. Invece in Norvegia hanno sperimentato che ora si dovrebbe applicare la citata “clausola” a favore dei maschi, le chiameremo “quote azzurre”?: non occorre farsi pensieri, siamo ben lontane dall'avere simili preoccupazioni.
Ma intanto dico che non sono disposta ad accettare che si vada indietro così. E che non posso considerare democratici quegli uomini che non si impegnano a promuovere la realizzazione piena del diritto di cittadinanza per le donne, non solo come astratta affermazione di principio, cui non segua alcuna azione concreta.
Ecco un esempio: di recente Rodotà costituzionalista colto gentile educato progressista e favorevole a dire NO nel prossimo referendum costituzionale, è solito affermare di essere favorevole a lottare per riformare una democrazia imperfetta “per le donne”. Ma se le donne sono la maggioranza della popolazione, una democrazia imperfetta per le donne è “una democrazia imperfetta” e basta.
Lidia Menapace