I lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, il foglio bianco che resta per più di mezz’ora immacolato, mentre quelli dei compagni si colorano velocemente. La bimba, che chiameremo Maryam, stringe tra le dita la lunga matita che le è appena stata consegnata, ma resta immobile. Le viene chiesto perché non stia disegnando e lei, dopo attimi di imbarazzo, si scioglie in un pianto soffocato. “Io non so disegnare. Non so come si fa”.
Huda, l’educatrice del progetto “Child again”, che dall’Italia sostiene le scuole temporanee in Siria e al confine, si siede accanto a lei e, dopo averla rincuorata, inizia a farla giocare con matite e colori, facendole prendere confidenza.
Maya, l’insegnante mi spiega che la bimba, di circa 9 anni, non è mai andata a scuola e che, da circa quattro anni, si sposta di villaggio in villaggio con la famiglia per fuggire ai bombardamenti. È arrivata in questa città di confine da solo un mese e da appena una settimana è stata iscritta a scuola per la prima volta. La piccola ha diversi traumi fisici, ma sono soprattutto quelli psicologici che le creano dolore. Alla fine della giornata ha disegnato, con l’incoraggiamento dell’educatrice, solo una serie di quadrati. Finalmente, però, sorride soddisfatta. Si lascia persino fotografare.
Mi vengono in mente, e forse per la prima volta ne capisco il senso più profondo, le parole di Pablo Picasso che, interrogato da un ufficiale nazista che gli chiedeva se avesse compiuto lui quell’orrore, riferendosi a un quadro del maestro, rispose: “No, l’avete fatto voi”.
Quei quadrati sparsi su un foglio non sono frutto della fantasia di Maryam. Sono l’orrore di cinque anni di violenze in Siria, cinque anni che hanno segnato una generazione, derubandola della sua infanzia e spensieratezza.
Discutiamo su questo e altri casi particolari con le insegnanti e una di loro, che è anche madre, dice: “Almeno qui e ora nessuno li bombarda e nessuno li assedia. Il peggio per loro è passato: pensiamo ai bambini nelle città siriane assediate, pensiamo ai bambini di Madaya che stanno morendo di stenti”.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 5 gennaio 2016)