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Carlotta Caldonazzo. Algeria: un paese e una società a rischio di implosione
02 Gennaio 2016
 

Un quarto della popolazione ai limiti della soglia di povertà, una legge finanziaria che rischia di acuire le diseguaglianze sociali; sullo sfondo, preoccupanti manovre di assestamento ai vertici di stato maggiore e intelligence

 

 

La morte di Hocine Ait Ahmed (foto), uno dei comandanti storici della guerra di indipendenza, militante della democrazia e fondatore del Fronte delle forze socialiste (Ffs, partito di opposizione), il 23 dicembre, ha lasciato buona parte dell'Algeria nello sgomento persino la Presidenza della Repubblica, che ha proclamato otto giorni di lutto nazionale, in un paese che presenta diversi fattori di rischio di implosione. Primo fra tutti la caduta del prezzo del petrolio, che ha mostrato negli ultimi mesi la fragilità di un'economia troppo dipendente dall'esportazione di idrocarburi. Dallo scorso marzo, ad esempio, il Fondo di regolamentazione delle entrate (FRR, una sorta di fondo di stabilità) ha perso circa 20 miliardi di dollari, mentre il debito interno è balzato al 15% del prodotto interno lordo (Pil), ma l'unica strategia messa in campo in difesa dell'economia nazionale è un rigido controllo dei tassi di cambio, mirato a impedire eventuali fughe di capitali. A fine novembre, inoltre, l'aumento dell'inflazione al 4,9% rispetto a fine novembre 2014, suscita timori riguardo un possibile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari (quasi totalmente importati). Un fatto che potrebbe riportare l'Algeria alla crisi che si è verificata tra 2010 e 2011, producendo un aumento dei prezzi di olio e zucchero. Allora, dopo pochi giorni di proteste di massa, il governo era intervenuto mettendo in campo una strategia basata (oltre che sulla repressione, con oltre mille arresti, un morto e più di 800 feriti) essenzialmente sull'assistenzialismo. Nulla contro la corruzione o per portare il paese, gradualmente, verso l'autosufficienza economica (un percorso nel quale Algeri potrebbe contare su l'estensione territoriale e su politiche di protezione o sviluppo del suolo).

Al contrario, a giudicare dalla legge finanziaria votata dal Parlamento algerino lo scorso 30 novembre, malgrado il boicottaggio del voto da parte del Fronte delle forze socialiste (Ffs), del Partito dei lavoratori (Pt), dell'Alleanza dell'Algeria verde (Aav) e del Fronte della giustizia e dello sviluppo (Fjd), Algeri ha adottato la linea delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica. Le opposizioni accusano il ministro dell'industria e delle risorse minerarie Abdeslam Bouchouareb (assente, peraltro, il giorno delle votazioni) di agire nel solo interesse degli uomini d'affari e dell'oligarchia al potere, modificando il testo del progetto di legge dopo la chiusura delle discussioni della commissione parlamentare creata ad hoc. Nel 2016, dunque, la spesa pubblica calerà del 9% e tra i settori maggiormente interessati dai tagli figurano l'istruzione e i servizi sociali. Inoltre, malgrado i rapporti internazionali (come quello pubblicato dalla rivista Forbes) evidenzino i numerosi punti deboli dell'economia algerina, che per il 98% dipende dall'esportazione di idrocarburi, Algeri continua a preoccuparsi delle sue riserve di gas e petrolio, che, si prevede, potrebbero esaurirsi nei prossimi quindici anni. Ovvero, la sicurezza alimentare continua a passare in secondo piano rispetto alla sicurezza energetica, che in realtà interessa più i paesi che importano idrocarburi che non l'Algeria. Una linea che, da un paio d'anni, include anche la ricerca e l'estrazione di idrocarburi non convenzionali, come il gas da scisto. A nulla sono servite le proteste che, da un anno, la popolazione di In Salah, e di altre regioni coinvolte, porta avanti contro un progetto che rischia (senza grandi prospettive di guadagno) di privare il paese delle poche speranze di sviluppo agricolo e di inquinare irrimediabilmente le falde acquifere in zone pressoché desertiche. Una vera bomba ambientale, se si pensa che tra le aree interessate c'è il governatorato di Reggane, dove tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso la Francia ha condotto esperimenti nucleari che continuano a provocare la morte di centinaia di persone per esposizione alle radiazioni.

Al vertice, intanto, oltre alle frequenti domande dell'opinione pubblica e dei giornali sullo stato di salute del presidente Abdelaziz Bouteflika (con implicazioni interessanti riguardo alla guida del paese), il gotha dell'esercito, dell'intelligence (il Drs, il Dipartimento dell'informazione e della sicurezza) e della guardia presidenziale è interessato da mesi da turbolenze inquietanti. Tutto inizia a metà giugno, quando il viceministro della difesa, generale Ahmed Gaid Salah indirizza una lettera di sostegno al neoeletto (anzi, al neo-rieletto) segretario generale del Fronte di liberazione nazionale (Fln, partito di Bouteflika, saldamente al governo dall'indipendenza), Amar Saadani. Un'ingerenza troppo esplicita, secondo molti osservatori, dell'esercito nelle vicende politiche, per almeno due ragioni. Anzitutto, la rielezione di Saadani è stata piuttosto controversa (ma il generale Salah la considera in ogni caso frutto di un plebiscito). In secondo luogo, Saadani è protagonista dal 2013 di una campagna politica e mediatica contro l'allora capo del Drs (Rab Dzayer, ovvero “Dio dell'Algeria”), il generale Mohamed Mediène, detto Toufik. Una sfida politica nella quale Saadani è arrivato ad accusare esplicitamente Mediène di essere responsabile della morte dell'ex presidente algerino Mohamed Boudiaf (ucciso il 29 giugno 1992) e dei monaci di Tibhirine (1996; un caso controverso, del quale la magistratura francese ancora si occupa). Così, con la sua lettera di sostegno, il generale Salah ha preso implicitamente posizione in quello che molti considerano un regolamento di conti in vista della successione alla Presidenza della Repubblica.

A metà settembre, a saltare è stata proprio la poltrona di Mediène, 75 anni, da venticinque saldamente a capo dell'intelligence militare. E, aspetto più preoccupante, artefice dell'equilibrio tra esercito e servizi segreti sul quale si fonda la stabilità dell'Algeria. Toufik è stato dunque rimpiazzato dal suo ex-vice, il generale Athmane Tartag, detto Bachir, in passato direttore della Sicurezza interna (Dsi), in seguito rimosso e poi reintegrato nello stato maggiore come consigliere della Presidenza della Repubblica. Il 10 settembre, inoltre, era stato “mandato in pensione” l'ex capo della gendarmeria nazionale, il generale Ahmed Bousteila (fino ad allora considerato inamovibile). Ma il caso di Toufik suscita preoccupazioni maggiori perché nel 2010 il Drs aveva aperto inchieste scottanti sugli scandali in cui era coinvolta la compagnia petrolifera nazionale Sonatrach e l'ex ministro dell'industria e delle risorse minerarie Chahib Khelil, personaggio molto vicino a Bouteflika. Altro elemento a favore della “pista” del regolamento di conti ai vertici dello Stato è l'arresto del generale in pensione Hocine Benhadid e di suo figlio, lo scorso 30 settembre. Infatti Benhadid (che ha trascorso il suo periodo di formazione negli Stati Uniti), nel 2014, alla vigilia delle elezioni presidenziali, si era espresso molto criticamente a proposito dell'eventuale quarto mandato di Bouteflika («non può né parlare né alzarsi in piedi sarebbe uno scandalo di fronte all'opinione pubblica nazionale e internazionale», aveva detto), accusando quest'ultimo di indebolire intenzionalmente il Drs per difendere se stesso e il suo clan dalle accuse di corruzione.

In tutto, Algeri ha dunque mandato in pensione 14 generali del Drs e 37 ufficiali dell'esercito, responsabili in vario grado dell'antiterrorismo. Una mossa che ha seguito di poco lo smantellamento del Gruppo di intervento speciale (Gis, importante durante il decennio nero degli anni '90) e l'integrazione della Guardia presidenziale nella Guardia repubblicana. Ufficialmente, un tentativo di rendere più efficiente l'intelligence militare in un momento di alta tensione nel Sahel (in particolare in Libia). Due i casi che vale forse la pena di citare: quello del generale Abdelkader Ait Ouarabi, detto Hassan, e quello del generale Djamel Kehal Medjdoub. Il generale Hassan, dal 2006 a capo del Servizio di coordinamento operativo e di informazione antiterrorista (Scorat, élite dei servizi segreti da un anno accorpata allo stato maggiore dell'esercito), è stato arrestato lo scorso 27 agosto, con l'accusa di distruzione di documenti e infrazione alle consegne, che gli è costata una condanna a cinque anni di prigione dopo un'udienza a porte chiuse nel tribunale militare di Orano, il 26 novembre. Il fatto in questione risale al 2013, poco dopo l'attentato di una cellula di al-qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) a Tiguentourine, in cui sono morti 37 ostaggi e 29 terroristi. Avendo scoperto un traffico di armi tra la Libia e gruppi affiliati ad Aqmi, il generale Hassan avrebbe deciso di lanciare un'operazione segreta per fermarlo. Di ritorno dalla missione (conclusa peraltro con “successo”), gli uomini di Hassan vengono però intercettati da una pattuglia dell'esercito, con il carico di armi sequestrate. Inizialmente arrestati, sono stati liberati poco dopo, mentre Hassan è stato convocato a febbraio 2014 dalla magistratura militare per “spiegazioni”. Dopo una lunga audizione, anche lui era tornato in libertà, quindi l'affaire sembrava chiuso, almeno fino al 27 agosto. A far discutere sono stati, in particolare, due aspetti: anzitutto il fatto che Hassan rendesse conto delle sue operazioni solo a Toufik; poi, la sua posizione critica riguardo ai ripetuti tentativi della Presidenza della Repubblica di indebolire il Drs. Dopo il suo arresto, peraltro, ad intervenire in suo favore era stato proprio Toufik, con una lettera inviata a diverse testate algerine, caso unico nella storia. Analoga la vicenda che ha coinvolto il generale Medjdoub, ex capo della sicurezza presidenziale (Dgspp, Direzione generale della sicurezza e della protezione del presidente), condannato il 2 dicembre, dal tribunale militare di Costantina, a tre anni di prigione per il tentativo di “intrusione” condotto nella notte tra il 16 e il 17 luglio contro la residenza di Bouteflika a Zeralda, a Ovest di Algeri. Di questa tentata infiltrazione, i motivi non sono mai stati rivelati ufficialmente, ma si sa che è costata il posto, oltre che a Medjdoub, anche al generale Ahmed Moulay Meliani (capo della Guardia repubblicana) e ad Ali Bendaoud (direttore della sicurezza interna, Dsi).

 

Carlotta Caldonazzo

(da Free Lance International Press, 25 dicembre 2015)


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