La Galleria dell’Accademia annovera, nell’ampia rassegna della pittura fiorentina della Maniera dispiegata nella Tribuna del David, una monumentale pala con L’Immacolata Concezione di Carlo Portelli, datata 1566 e originariamente destinata alla chiesa di Ognissanti, che può, a giusto titolo, essere considerata il suo capolavoro. Il pittore, per quanto titolare di importanti commissioni e fra gli artisti attivi per le maggiori imprese medicee, non ha goduto sin qui di una grande fortuna critica.
Intorno a questa tavola visionaria e neo rossesca che scandalizzò lo storiografo Raffaello Borghini (1584) per l’esibizione sfacciata e irriverente della nudità di Eva in primo piano, sono stati raccolti in una mostra, a cura di Lidia Brunori e Alessandro Cecchi (catalogo Giunti), nelle sale della Galleria dell’Accademia, tutti i dipinti attendibilmente ascrivibili al Portelli e, grazie a nuovi studi e ricerche intraprese per l’occasione, è stato possibile una volta per tutte il ruolo nel panorama della pittura fiorentina dell’età vasariana.
L’esposizione di circa cinquanta opere fra dipinti, disegni e documenti, oltre a valorizzare la pala dell’Accademia, può ora consentire al pubblico di conoscere un artista noto solo agli specialisti e invece meritevole di essere apprezzato per la sua originalità, fantasia e capacità di tradurre in pittura concettose invenzioni, nel modello di Vasari.
Giunto a Firenze dalla natia Loro Ciuffenna in epoca imprecisata, si sarebbe formato, secondo il Vasari, nella affollata e sperimentata bottega di Ridolfo del Ghirlandaio e nel 1538 si era già iscritto alla Compagnia di San Luca o dei Pittori. L’anno dopo collabora già col Salviati all’apparato per le nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo, portando a compimento un dipinto effimero con l’Incoronazione di Cosimo I di cui esiste il disegno preparatorio dello stesso Salviati al Louvre ed esposto in mostra.
Le imponenti pale d’altare da lui realizzate ed esposte in mostra documentano la sua attività. La pala con la Trinità di Santa Felicita, da datarsi poco dopo il 1544, lo rivela artista che, rifacendosi ai grandi modelli, sa già orchestrare una composizione, scalando in profondità le figure nello spazio illusorio di un dipinto.
Dopo aver preso in affitto una bottega nel 1548, avrebbe dato inizio ad una intensa attività di pittore di soggetti religiosi, di cui danno conto le pale del 1555: Annunciazione di Loro, Disputa sulla Trinità di Santa Croce e Adorazione dei Pastori di San Salvi, queste ultime in origine nella chiesa di Monticelli.
Due anni più tardi licenziava il grandioso e affollato Martirio di San Romolo, di cui è conservato al Gabinetto Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi uno studio preparatorio a matita rossa per la testa della fanciulla di profilo che figura nel dipinto e che è esposta, in mostra, così come nel percorso dell’esposizione figurano le opere grafiche del Portelli che si conoscono, in genere caratterizzate da un inconfondibile segno filiforme, in punta di penna, che definisce sommariamente le figure.
Iscritto nel 1563 alla appena fondata Accademia del Disegno, lo sarebbe rimasto fino alla morte, nel 1574. In questi anni, accanto ad una produzione di pale d’altare come il Compianto di Loro del 1561, l’Immacolata Concezione del 1566, la Restituzione della Croce di Olmi del 1569, e il Cristo che predica con i Santi Giovanni Battista ed Evangelista e i committenti, di Colle di Baggiano del 1571, avrebbe soddisfatto le richieste di una committenza privata desiderosa di Sacre Famiglie e Allegorie della Carità, cimentandosi con successo anche nel genere ritrattistica come testimoniano i dipinti di Chaàlis e il Ritratto allegorico e celebrativo di Giovanni dalle Bande Nere di Minneapolis, debitore del ritratto del condottiero di Giovan Paolo Pace degli Uffizi e di quello della Galleria Palatina restituito a Salviati, esposti accanto all’opera di Ponticelli.
Dopo aver lavorato all’apparato del 1565 per le nozze di Francesco de’ Medici e di Giovanna d’Austria, con pitture a Borgonissanti e all’arco al Canto della Paglia, avrebbe chiuso la sua carriera con la collaborazione all’impresa dello Studiolo del Principe in Palazzo Vecchio, di cui rimane testimonianza nel suo disegno raffigurante Alessandro Magno e la famiglia di Dario.
L’Allegoria dell’Immacolata Concezione, perno della mostra fiorentina della Galleria dell’Accademia, risulta firmata e datata 1566.
Undici anni dopo aver realizzato la pala con la Disputa sull’Immacolata Concezione per le Clarisse di Monticelli, Portelli riceve da parte dei frati minori Osservanti di Ognissanti, un’altra commissione sullo stesso tema, particolarmente caro all’Ordine francescano. Mentre la prima tavola sviluppa il soggetto nell’accezione più antica della Disputa incentrata sul dialogo dottrinale dei personaggi coinvolti, l’artista di Loro realizza ora un’articolata composizione incentrata sul ruolo di Maria come nuova Eva. La complessa iconografia del dipinto, certamente elaborata da un colto frate francescano, esalta il ruolo salvifico della Vergine per l’umanità soggetta al peccato originale del quale lei stessa fu immune per gli effetti di quello che verrà sancito come il futuro dogma dell’Immacolata Concezione.
L’articolata raffigurazione trova il suo perno visivo e interpretativo nella contrapposizione delle due figure femminili poste l’una sopra all’altra in posizioni inverse: in alto Maria orante e ammantata in un’affocata veste rossa si volge verso destra schiacciando il serpente attorcigliato attorno all’albero del bene e del male, mentre in basso Eva, di spalle in un nudo stravolgente e lascivo si muove nella direzione opposta. Le due figure imprimono a tutta la scena due movimenti avvolgenti e contrari. Eva si muove verso il basso indicando la via del male appoggiandosi a un Adamo ancora addormentato mentre Maria incarna la via della salvezza, rivolgendosi all’Agnus Dei, redentore dei peccati umani come indica Dio Padre intervenuto in volo dall’alto e anche chiarifica il cartiglio con il passo in greco dell’Apocalisse (13,8; ). Il moto rotatorio impresso dalle due donne è sottolineato dai movimenti contrapposti delle due Sibille, la Persica e la Libica che, con le braccia e i cartigli, indicano una traiettoria che pare ricordare la circolarità della misericordia divina che incessantemente si muove dal basso verso l’alto e viceversa, dando all’uomo la possibilità del riscatto dal peccato. In basso, riprendendo la sintassi delle figure poste di tre quarti e di schiena, siedono i due re d’Israele, Salomone a sinistra e David a destra. Quest’ultimo, collegato visivamente alla Vergine per il forte risalto del manto dello stesso colore della veste mariana, è intento a scrivere, con lo sguardo rivolto verso di Lei, un verso del Cantico dei Cantici 2,2: «Come un giglio fra i cardi, così la mia amata fra le fanciulle» mentre Salomone sta componendo in allusione ad Eva.
Maria Paola Forlani