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Mario Lucchini. Il romanzo della Nazione di Maurizio Maggiani
26 Dicembre 2015
 

Maurizio Maggiani

Il romanzo della Nazione

Feltrinelli, pp. 304, € 17,00

 

Cos’è una nazione? Per Maurizio Maggiani è l’Italia che non è mai diventata tale, è ciò che voleva un popolo alla disperata ricerca della realizzazione della sua sovranità, quella sovranità che è nel popolonon del popolo, perché se è “del” gli può essere portata via, com’è successo e come sempre succede quando si usa il “del” designativo della proprietà. Ma "nel" significa dentro, un'identità naturale.

Scrive Maggiani questo ipotetico romanzo attraverso le storie molteplici dei suoi protagonisti, la sua famiglia anzitutto. La madre, la bellissima Adorna, che passava le linee dei nazifascisti in bicicletta con le armi nella sporta, armi infilate là da suo marito, fiducioso che la bellezza della moglie avrebbe incantato i militi e impedito ogni ispezione. E il padre, morto prima che Maurizio potesse scrivere il suo romanzo perché il padre era lo scrigno della memoria di tutta un’epoca, un’epopea di popolo dal Risorgimento ai giorni nostri.

Scrive Maggiani la storia dei protagonisti vissuti in un lembo di terra tra Liguria, Toscana ed Emilia, quasi terra di nessuno, terra popolata dai “lombardi” così venivano chiamati i rifugiati, spesso banditi che la popolavano. E l’epopea si concentra nella costruzione dell’Arsenale di La Spezia, delle centinaia di lavoratori che lo hanno reso possibile, ingegneri, scarriolanti, fabbri, facchini, tornitori, pellai, vetrai, architetti, battilama, scalpellini, pittori, quasi impossibile fare l’elenco del “popolo” di lavoratori dediti alla costruzione della loro nazione.

Il romanzo che è un po’ autobiografia, un po’ epopea, un po’ diario e un po’ memoria storica si snoda attraverso il racconto di queste vite, tutte avventurose e appunto epiche. A cominciare dalla vita di suo padre. Elettricista, che lavorava con le mani senza guanti scottandosi di tremende ustioni per le scariche a 220 volt, ma anche appassionato di musica che andava ad ascoltare clandestinamente al Regio di Parma compiendo il viaggio d’inverno nelle garritte dei frenatori sulla Pontremolese, di nuovo scottandosi con il gelo le mani che si attaccavano al ferro delle traversine. Con il suo amico Trippi, ambedue fondatori della cellula del locale partito comunista, ma in cuor loro mazziniani e garibaldini, eredi di una tradizione repubblicana dura a morire.

Struggenti le pagine dell’anziano padre ormai ospite dell’ospizio Giuseppe Mazzini, struttura convenzionata ASL, ormai ridotto a dare le briciole del pane che stringeva nel pugno alle tartarughe del laghetto nel giardino. Un giorno disse, seduto sul letto con le braghe del pigiama in mano “Non ce la faccio” e da allora non si mosse più.

E il nonno Garibardo, segnato dalla tragedia di aver ucciso involontariamente il suo figlio Cesare, scambiato per un ladro nel capanno. E la nonna Anita e le zie, presenze femminili dotate di forza e determinazione contadina.

Mille sono le figure che popolano il romanzo di Maggiani. Per esempio Bezzi Cristoforo, a sei anni in filanda a rigugliare gli orditi spezzati sui telai (lavoro riservato ai bambini per le loro piccole dita) che a undici anni scappa a Nizza e si arruola come tamburino su una fregata di Bonaparte che poi segue fino all’Elba dove impara il mestiere dei ralmigatore, l’uomo che cuce gli orli delle vele, mestiere delicatissimo e di responsabilità; poi incontra Garibaldi e lo segue a New York e diventa uno dei mille. Ecco, questi sono i fondatori di nazioni.

Nel libro di Maggiani si va dall’epopea garibaldina alla Liberazione, dalle guerre napoleoniche alla vicenda della Dandolo, mitica corazzata che mai sparò un colpo in vita sua, dalle archeologhe scopritrici dei porti sepolti nella faglia di Israele a Pertini, per suo padre l’ultimo Presidente della repubblica degno di questo nome. E si passa attraverso la morte di Kennedy, di Martin Luther King e Robert, tutte vittime di chi non voleva che si affrancasse un popolo.

Libro di una ricchezza immensa, passionale, di vite vissute a tutto tondo, con sacrificio ma sempre grande dignità e nobiltà. Non manca l’ironia come quando Maggiani cita San Bernardino e la sua classificazione delle Vergini tra cui le ultime, le Vergini Malefiche, sarebbero quelle che te la promettono sempre, te la fanno intravedere e non te la danno mai. Passa nelle pagine di Maggiani più di mezzo secolo di storia d’Italia: non la storia ufficiale dei re ma la storia vera di popolo, nel suo intento di costruire una nazione.

«Quando dico che Camillo Benso aveva tutto per la testa tranne che una nazione, vorrei ricordare che intanto nel regno il diritto di voto era stabilito per censo. Votavano i ricchi che eleggevano ricchi. Una nazione invece è un patto universale, una nazione è una testa un voto. Una nazione è un popolo di uomini liberi che liberamente si lega».

Un grande romanzo da leggere. Da portare nelle scuole. Da dare in mano ai giovani perché si rendano conto. Un grande Maggiani, non sempre facile da leggere, ma tale per cui, quando hai finito di leggerlo, non sei più quello di prima. E hai voglia di rileggerlo, di ripercorrerne le pagine, le storie, le riflessioni.

Come facessero non lo so, ma era tutta gente che sognava mentre lavorava e quello che avrebbero fatto con il loro lavoro era la loro utopia.

 

Mario Lucchini


 
 
 
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