Il cielo
Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale telaio vetri.
Un’apertura e nulla più
ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena
né alzare la testa
per osservare il cielo
L’ho dietro di me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade di cielo in cielo.
Friabili fluenti rocciosi
infuocati e aerei
distese di cielo briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
persino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola
un abitante abitato
un abbraccio abbracciato
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto
più facile da trovare
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
Incanto e disperazione.
Wisława Szymborska
(da “La fine e l’inizio”, 1993, in La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, 2012)