I cittadini stranieri extracomunitari che vivono e lavorano regolarmente in Italia devono (dovrebbero) avere diritto di accedere alle prestazioni assistenziali economiche riconosciute per le condizioni di invalidità – e cioè all’assegno sociale, alle pensioni di invalidità, all’indennità di accompagnamento, alle pensioni in favore di ciechi e sordi, all’assegno di maternità – al pari dei cittadini italiani.
Questo è quanto prevede(va) il Testo unico in materia di immigrazione (d. lgs. 286/98) all’art. 41: «Gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno con validità di almeno un anno, nonché i minori iscritti nel permesso o carta di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani, ai fini della fruizione delle provvidenze, anche di natura economica, di assistenza sociale incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».
Ma, a nemmeno due anni dall’entrata in vigore del testo unico, il legislatore italiano ci ha ripensato e, con l’introduzione dell’art. 80 comma 19 della L. 388/00 (Legge finanziaria per il 2001), ha modificato i requisiti per accedere alle prestazioni assistenziali economiche, disponendo che «l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi […] agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno», escludendo così i titolari per permesso di soggiorno con validità superiore ad un anno.
Si tratta di una norma incostituzionale e irragionevole, poiché subordinare l’erogazione di un emolumento assistenziale ad una determinata soglia di reddito è una contraddizione in termini. Ma si sa come va in Italia, finche’ la questione arriva alla Corte Costituzionale e questa si pronuncia passano anni, e nel frattempo l’Italia risparmia sulle spalle di quegli stranieri che avrebbero diritto alle prestazioni ma gli vengono negate.
Gli interventi della Corte Costituzionale
in materia di prestazioni assistenziali economiche
agli stranieri extracomunitari
Dal 2000 ad oggi la Corte Costituzionale è intervenuta, sui requisiti che gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia per poter accedere alle prestazioni assistenziali economiche, per ben 7 volte demolendo pezzo dopo pezzo l’art. 80 comma 19 citato, norma che resta formalmente in vigore ma armai divenuta una disposizione “gruviera”.
La Corte Costituzionale, con sentenza 306/2008, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 80 comma 19 della legge 388/2000, nella parte in cui esclude dal godimento dell’indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili gli stranieri privi dei requisiti di reddito previsti per il permesso UE di soggiorno di lungo periodo. Secondo la Corte è infatti irragionevole subordinare l’erogazione di un emolumento destinato alle persone totalmente inabili al lavoro alla titolarità di un reddito superiore ad una certa soglia.
Con sentenza n. 11/2009, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla possibilità per gli stranieri di accedere alla pensione di inabilità, dichiarando la norma illegittima nella parte in cui subordina l’accesso alla prestazione alla sussistenza della soglia di reddito prevista per il permesso UE di lungo periodo. L’erogazione della pensione di inabilità è infatti subordinata al fatto che il reddito del richiedente non superi una determinata soglia: su questa premessa è evidentemente un controsenso condizionarne l’erogazione agli stranieri alla titolarità di un reddito superiore ad altra soglia.
Le stesse considerazioni possono essere estese a tutte le altre prestazioni assistenziali economiche che costituiscono diritti soggettivi, per le quali si propone sempre il medesimo controsenso: si tratta di prestazioni volte a superare condizioni economiche disagevoli dovute dalla inabilità, totale o parziale, temporanea o definitiva. Pretendere che gli stranieri vi accedano solo se in possesso di un determinato reddito equivale quasi a negarne il diritto.
La Corte Costituzionale è ritornata poi sul tema con la sentenza 187/2010, nella quale dichiara l’incostituzionalità dell’art. 80, co. 19 L. 388/2000 in relazione all’assegno mensile di invalidità (art. 13, legge n. 118 del 1971) statuendo l’illegittimità del requisito del permesso UE slp per i richiedenti stranieri legalmente soggiornanti posto che si tratta di una misura tesa a garantire il sostentamento essenziale alla persona, non già una “integrazione reddituale”.
Nella sentenza n. 329/2011, la Corte Costituzionale giunge alle medesime conclusioni anche con riferimento alla concessione dell’indennità di frequenza per i minori stranieri disabili. Correttamente secondo la Corte è discriminatorio subordinare, alle condizioni economiche dei genitori, la possibilità di in minore di frequentare attività riabilitative e terapeutiche e di effettuare percorsi formativi finalizzati all’inserimento sociale.
La Corte Costituzionale cassa poi, con sentenza n. 40/2013, il requisito del permesso UE slp con riferimento all’indennità di accompagnamento ex art. 1 l. 18/80 e alla pensione di inabilità di cui all’art. 12 l. 118/71, con le medesime motivazioni.
Di nuovo, nel 2015, la Corte interviene – sempre in materia di prestazioni assistenziali economiche – con la sentenza n. 22 dichiarando illegittimo il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo in relazione alle richieste di pensione e indennità per ciechi e da ultimo, con la recente sentenza n. 230/15, la Corte Costituzionale si pronuncia anche sulla pensione di invalidità civile per sordi e sull’indennità di comunicazione.
Si tratta, secondo la Corte di «prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare – in una dimensione costituzionale orientata verso la solidarietà come dovere inderogabile (art. 2 Cost.), verso la tutela del diritto alla salute anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla (art. 32 Cost.), nonché verso la protezione sociale più ampia e sostenibile (art. 38 Cost.) – un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento; benefici erogabili, quanto alla pensione, in presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa. La discriminazione che la disposizione de qua irragionevolmente opera nei confronti dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti, con l’attribuzione di un non proporzionato rilievo alla circostanza della durata della permanenza legale nel territorio dello Stato, risulta, d’altra parte, in contrasto con il principio costituzionale – oltre che convenzionale – di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.): essa, infatti, appare idonea a compromettere esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali; sempre che, naturalmente, venga accertata la sussistenza degli altri requisiti richiesti per il riconoscimento del beneficio e sempre che – nell’ottica della più compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui all’art. 41 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale». Conclude la corte: «Deve da ultimo, ma non per ultimo, formularsi l’auspicio che il legislatore, tenendo conto dell’elevato numero di pronunce caducatorie adottate da questa Corte a proposito della disposizione ora nuovamente censurata, provveda ad una organica ricognizione e revisione della disciplina, ad evitare, tra l’altro, che il ripetersi di interventi necessariamente frammentari, e condizionati dalla natura stessa del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, possa avere riverberi negativi sul piano della tutela dell’eguaglianza sostanziale».
Intervento legislativo auspicato ma ad oggi non attuato, e la Corte si troverà a breve a decidere – immaginiamo con simile esito – anche sulla legittimità o meno del requisito reddituale per l’assegno di maternità, questione recentemente sollevata dal Tribunale di Bergamo con ordinanza del 26 novembre 2015.
Emmanuela Bertucci, legale ADUC