Douma, 12 dicembre 2015. Sulla città a nord est della capitale Damasco piovono bombe dell’aviazione russa. L’attacco è massiccio e dura da diversi giorni e gli obiettivi colpiti, contrariamente a quanto dichiara certa propaganda, sono tutti civili. Gli abitanti del posto sono ormai meno della metà di quanti erano prima del 2011: migliaia sono caduti, altrettanti sono fuggiti. Eppure, nonostante l’immensa distesa di macerie faccia pensare a un luogo ormai morto, a Douma continuano a vivere bambini, donne, giovani, anziani che cercano di lottare disarmati per la propria sopravvivenza.
Nelle aule della locale scuola media femminile, una delle poche risparmiate dalle bombe, e non ancora occupata dagli sfollati, alcuni insegnanti e i loro studenti tengono viva l’istruzione. Si va a scuola attraversando strade ormai disseminate di macerie, spesso affrontando la minaccia dei sequestri e dei cecchini appostati sui tetti e, come è avvenuto la mattina del 12 dicembre, con il rombo degli aerei militari che riempie il cielo. Non c’è corrente elettrica, non ci sono riscaldamenti; molte bimbe non hanno più quaderni e matite colorate, ma la voglia, il bisogno e il sogno di completare il proprio percorso formativo le spinge a studiare affrontando ogni difficoltà e minaccia. Lottano per la propria dignità e per poter scrivere la parola futuro sul diario della loro vita. Ma la vita in Siria, tra le bombe del regime, le esecuzioni sommarie, gli atti di terrorismo e ora le incursioni aeree russe e di altre nazioni, è appesa ad un filo.
Sulla scuola di Douma piovono ordigni dell’aviazione russa: si contano oltre quaranta vittime nel quartiere. Molte sono proprio le bambine della scuola media femminile. Morte davanti alle proprie compagne di studio, davanti ai propri insegnanti. Morte con matite colorate in mano e parole da scrivere sui quaderni bianchi. Morte rincorrendo quello che in Siria, per molti bambini, è ormai solo un sogno: studiare.
Le immagini sono drammatiche: sui banchi, nel cortile di ingresso, nei corridoi, ovunque c’è sangue e ci sono i corpi martoriati delle piccole studentesse. Piccole martiri che hanno lottato fino all’ultimo per la propria istruzione, per la propria dignità e per la propria vita. Bambine indifese colpite senza pietà, mentre la propaganda continua a raccontare di colpire i terroristi. Ma i mandanti del terrorismo non colpiscono mai se stessi. La macchina della guerra in Siria mira deliberatamente a compiere massacri di civili.
Poche ore dopo la strage gli insegnanti e le bambine sopravvissute hanno dato vita ad un sit in sulle macerie della loro stessa scuola. Cartelli in arabo e in inglese dove rivendicano il proprio diritto allo studio, il proprio diritto alla vita e denunciano le atrocità di quello che hanno subito. È commuovente la loro dignità, è impressionante il loro coraggio. Sui loro volti è dipinto il dolore, ma si coglie anche la ferma volontà di non piegarsi alla violenza. Uno dei cartelli, infatti, recita: “Non potrete uccidermi con l’ignoranza, io imparerò”; su un altro è scritto: “Voglio tornare a scuola”. Queste sono le piccole Malala di Siria. Queste sono le piccole donne siriane.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 19 dicembre 2015)