Come esistono film misogini, esistono film “androfobi”.
La caratteristica di questi due tipi di film non è tanto quella di presentare personaggi femminili o maschili negativi; ma di “disumanizzarli”, di farli agire per una malvagità o per una pericolosa follia, aprioristiche, quasi incomprensibili, nei quali l’autore non sa o non vuole immedesimarsi. Mentre è loro contrapposto un partner, a seconda dei casi maschile o femminile, equilibrato, “sano”, di cui siamo messi in grado di condividere le emozioni e le ragioni.
A prima vista – ma, lo anticipo subito, è un’apparenza ingannevole – Mon roi, della regista francese Maïwenn, rientrerebbe tra i film “androfobi”.
Si racconta della passione amorosa che unisce per molti anni una donna – di professione fa l’avvocato – e un uomo – un ristoratore. Una passione reciproca, ardente, che però, dopo una fase di esaltazione e di euforia, trascina entrambi gli amanti nell’infelicità e nella disperazione.
La ragione, sempre a prima vista, è che se la donna si dimostra seria e fedele, l’uomo si rivela immaturo, bugiardo e infedele.
Ora, se la contrapposizione tra i due personaggi fosse così netta, percepiremmo uno schema, una faziosità. Ne ricaveremmo un senso di irrealtà.
Del resto, si potrebbe facilmente obiettare: se la donna è davvero matura e responsabile, perché non ha la forza di interrompere un legame con un uomo tanto inaffidabile, e accetta di aver un figlio con lui? E continua a incontrarlo e ad amarlo anche dopo aver ottenuto il divorzio?
Ma è proprio la domanda che ci immette nel cuore del film, nel sentimento dominante in entrambi i personaggi. Il loro legame è, per tutti e due, così totalizzante, esclusivo, e dunque così opprimente, che l’uomo per difendersene, si trova un secondo appartamento in cui rifugiarsi e occasionalmente ricevere altre amanti; e la donna, per contro, pur di non perderlo, sopporta le sue defezioni, le sue offese e i suoi tradimenti; che l’uomo, di conseguenza, moltiplica.
La loro relazione si configura in effetti come una spirale distruttiva, che trascina entrambi verso una specie di perdizione, nel corso di una storia fluviale, tumultuosa, fatta di apparenti guarigioni e ricadute (e dunque, alla lunga, giocoforza, ripetitiva).
Sarà una frattura al ginocchio che costringerà la donna alla separazione, e le consentirà di ritrovare se stessa.
È certo il personaggio femminile nel film il più accuratamente indagato (grazie anche a chi lo interpreta, Emmanuelle Bercot, Palma d’Oro come miglior attrice al festival di Cannes, che riesce a trasmetterci a momenti emozioni anche quasi impercettibili del personaggio).
Ma, a differenza che nei film “androfobi”, il suo partner maschile, interpretato da Vincent Cassell, non è un “mostro”, ma incarna l’aspetto complementare del suo stesso squilibrio psicologico.
Gianfranco Cercone
(da Notizie Radicali, 7 dicembre 2015)