Roberto Fantini
Aldo Capitini. La bellezza della luce
Invito a (ri)scoprire il pensiero di un profeta della nonviolenza, antifascista, eretico, vegetariano
Libreria Efesto, Roma 2015, pp. 102, € 12,90
Sintetico ed efficace, il nuovo libro di Roberto Fantini invita a scoprire o a riscoprire (per i pochi che lo conoscono già) il filosofo italiano Aldo Capitini (1899-1968), che alla brutalità irrazionale del fascismo oppose la ragionevolezza della nonviolenza. Il rifiuto della retorica e dell'etica fasciste, infatti, era per lui parte integrante del distacco sempre più profondo “da una civiltà che valuta positivamente soltanto chi fa, chi rende, chi è forte, chi è attivo”. Un discorso che, a settant'anni dalla “liberazione”, calza a pennello anche alle nostre cosiddette democrazie, il cui unico imperativo indiscutibile (malgrado i princìpi sanciti dalle varie costituzioni, in primo luogo da quella italiana) è tenere in piedi il sistema economico capitalista, nonostante le sue crisi cicliche si siano finora sempre concluse con guerre e campagne di conquista tra il tragico e il grottesco. Per questo, fondando il Movimento liberalsocialista, Capitini intendeva “portare l'anima alla libertà e alla socialità della civiltà futura”, una civiltà senza sopraffazione e, più in generale, senza divisioni di partito, religione, etnia e persino senza distinzioni tra regni della natura. Una civiltà che, secondo lui, avrebbe dovuto progressivamente allargare i propri orizzonti, fino a comprendere il mondo animale (e – perché no? – vegetale) nella sfera di applicazione dell'imperativo categorico kantiano, che esorta a considerare l'umanità sempre come fine e mai semplicemente come mezzo. Tuttavia, la sua scelta di non aderire al Partito d'azione (nel quale era confluito il Movimento liberalsocialista) né ad alcuna formazione politica lo ha condannato a un progressivo isolamento, che ha impedito alla sua coerente e radicale opposizione al fascismo di avere la giusta risonanza.
Capitini scelse infatti di rifuggire dalle forme armate dell'antifascismo (nonostante il suo profondo rispetto della resistenza partigiana), identificando invece quest'ultimo con la spinta all'elaborazione non solo di una nuova società, ma soprattutto di un nuovo modello educativo, che tenesse conto del “lume acceso” di ogni individuo, delle sue peculiarità e del suo inalienabile diritto all'esistenza libera. Poiché dunque non esiste libertà senza responsabilità e partecipazione, nel 1944 Capitini iniziò a fondare i Centri di Orientamento Sociale (COS), “assemblee disseminate dappertutto... a equilibrare il fatto del potere dell'iniziativa autoritaria”. Queste strutture, erano concepite come strumento di denuncia delle diverse forme di ingiustizia e conformismo, ma anche come spazi di profonda “tramutazione” dell'individuo e, di conseguenza, della società. Come Rousseau, Capitini auspicava dunque la fondazione di una comunità aperta e in grado di formare i cittadini al confronto e alle responsabilità democratiche.
Ispirato al pensiero indiano, in particolare a Gandhi, il suo progetto di ri-fondazione pedagogica e sociale includeva la scelta della dieta vegetariana come radicale rifiuto della violenza e dell'ingiustizia tra simili. Occorre osservare che alla base della nonviolenza radicale di Capitini non c'è un semplice rispetto per forme di vita diverse dall'uomo, ma un profondo senso di unità di tutto l'essere, che lo condusse ad ampliare progressivamente il concetto di “prossimo” estendendolo al mondo animale e, successivamente, a tutti i viventi: “una compresenza di esseri aperti l'uno all'altro, tutti amati e liberi”. Quindi, il rifiuto di cibarsi di animali morti è parte integrante dello stesso progetto pedagogico che induce ad opporsi a ogni forma di violenza (fascismi e dogmatismi compresi), poiché da un lato esso spinge a “sottrarsi al gioco dell'abitudine, del tradizionalismo inerte, del conformismo”, dall'altro “uccidendo meno animali, diminuendo la faciloneria a riguardo di essi, si sarebbe acquistata una convinzione più profonda dell'importanza dell'esistenza degli esseri umani”. Una posizione analoga (ma portata alle sue estreme conseguenze) a quella espressa da Plutarco nel dialogo Sull'intelligenza degli animali, in cui la caccia e la macellazione vengono considerati fonte di crudeltà, che rendono l'uomo più feroce degli altri carnivori, per i quali (a differenza di quanto avviene per gli uomini) le prede sono un cibo necessario.
Il senso del progetto di riforma dell'uomo e della società elaborato da Capitini, inteso come un cammino di autocoscienza che si configura al contempo come coscienza dell'altro, quindi compresenza, non poteva non includere un'aspra polemica nei confronti del dogmatismo della Chiesa cattolica, colpevole, inoltre, di aver collaborato con la dittatura fascista. Di qui l'elaborazione di una religione “aperta”, che prevede la salvezza di tutti e nessuna dannazione: “non possiamo vivere con il privilegio che ci salveremo noi se crederemo ai dogmi e se seguiremo i sacramenti, mentre gli altri andranno all'inferno”. Pertanto, secondo Capitini, religione è, ad esempio, “assistere un moribondo, e sentire che quella persona non va nel nulla, ma, lasciato il suo corpo, si unisce all'intima presenza con tutti”. Ai sacramenti (ritualità formale), opponeva in tal modo una religiosità fatta di gesti e scelte quotidiane in direzione dell'apertura nei confronti dell'altro e dell'amore e dell'affratellamento universali. Una religiosità libera e liberante, che reca in sé concetti desunti dalla filosofia antica e moderna, dal pensiero cristiano e dalle tradizioni culturali orientali. La dottrina cattolica, invece, ha sempre adottato la categoria della “divisione” per mantenere il proprio potere assoluto, come fosse un impero. Tale conservatorismo sociale, peraltro, si fonda da sempre su affermazioni e princìpi inaccettabili sia a livello storico che a livello razionale: la nascita miracolosa di Gesù, il peccato originale, la differenza tra battezzati e non battezzati. La religione aperta proposta da Capitini prevede invece azioni concrete per la liberazione e la salvezza di tutti, tanto nel mondo terreno quanto dopo la morte, poiché, secondo lui, “ogni lotta per la libertà è lotta religiosa”. In tale immaginario, Dio non è considerato come creatore, ma come “totalità delle persone, dei soggetti, dei “tu”, dunque Dio amore”. Solo attraverso l'amore infatti tutti possono partecipare alla continua creazione collettiva dei valori, un'opera destinata a non finire mai. Ecco il senso della religione per Capitini, un'opera di perenne edificazione collettiva delle coscienze. Un pensiero che trova la sua massima espressione nel concetto di compresenza: “la compresenza unisce i vivi e i morti; la compresenza è di tutti, in essa ognuno ha la sua parte... è lo sviluppo del meglio... è eterna perché crescente... la felicità è dell'individuo, la beatitudine della compresenza”. Qui è la convergenza tra educazione religiosa ed educazione democratica, entrambe proiettate verso il loro fine ultimo, ovvero l'omnicrazia: “espressione di un'elevazione della coscienza collettiva”, per la quale ciascun individuo ha il suo spazio nella costruzione continua della società.
Aldo Capitini. La bellezza della luce, si configura dunque, al contempo, come spunto di riflessione teoretica ed etica, in virtù del legame indissolubile tra conoscenza e pratica, su cui mai è stato urgente riflettere come in questo periodo di conflitti e assurdi arroccamenti ideologici. Il libro, che si apre con una biografia sintetica di Capitini (necessaria per la comprensione del suo pensiero, essendo quest'ultimo un pensiero vissuto), affronta i tre nuclei fondamentali della sua filosofia, che sono al contempo i tre cardini inscindibilmente connessi della sua proposta di “società liberata”. Il primo è rappresentato da una scelta antifascista rigorosa e radicale in quanto si identifica con il rifiuto della violenza tout court, senza ammettere eccezioni. Il secondo è costituito invece dalla sua “eresia”, ovvero dalle proposte attualissime avanzate in merito alla religione. Per Capitini, infatti, la religione non è nei dogmi e negli articoli di fede, ma in un'azione che allarghi progressivamente l'orizzonte di fratellanza, culminando nella compresenza. Il terzo nucleo, infine, riguarda la scelta vegetariana, come espressione necessaria del senso di unità ed empatia con tutto l'universo vivente, inclusi, dunque, gli animali. Un cammino progressivo di riduzione del molteplice all'uno, prevedendo la possibilità che l'ottica di inclusione arrivi a comprendere anche il mondo vegetale.
Dal momento che tutte le divisioni che hanno lacerato l'umanità nella sua storia sembrano condurla sull'orlo dell'abisso della guerra permanente, il pensiero capitiniano potrebbe rappresentare una preziosa opportunità per ripensare con maggiore consapevolezza critica le relazioni dell'individuo con gli altri e con l'ambiente in cui vive.
Carlotta Caldonazzo
(da Free Lance International Press, 2 dicembre2015)