Ho appena inviato per diffusione ben tre messaggi che si riferiscono alle donne, di chiara decisa fortissima impronta femminista. E noto che la mia pedante correzione verbale del linguaggio non inclusivo nei dibattiti convegni ecc. riceve approvazione dalle donne presenti e non è più rifiutata dagli uomini, che pure se ne “dimenticano” subito.
Vengo al dunque: i tre testi presi in considerazione e inviati sono un documento lungo fermissimo limpido, in puro linguaggio femminista e antipatriarcale delle donne di Kobane; il resoconto del Sinodo promosso dalla Chiesa cattolica, del quale riferisce Bellavite per Noi siamo Chiesa, il movimento internazionale critico, diffuso in tutta Europa, e che contiene ferme critiche mosse da una teologa africana e da altre sulle posizioni anche di papa Francesco, proprio a proposito della donna nella Chiesa: si denuncia l'insensibilità cattolica per episodi molto gravi di violenza sessuale e si sottolinea che la chiesa attribuisce troppa importanza al letto e troppo poca alla cucina, volendo sottolineare che l'etica si riferisce quasi solo alla sessualità, fino a una generale cultura sessuofobica, mentre altre aree etiche sono trascurate; il terzo è il bello e sempre interessante bollettino del Centro Sereno Regis, con due o tre testi.
Li segnalo perché sembrano avviare un risveglio del femminismo, da lungo atteso, e in forma non equivoca o imitativa, e puramente emancipatoria. Credo sia finalmente una conseguenza del fatto che noi donne siamo la maggioranza stabile della popolazione nel mondo ed occupiamo ovunque gli strati meno favoriti, insomma, se vogliamo usare un linguaggio che non ritengo morto, siamo la maggioranza del proletariato mondiale: se i maschi che si ritengono di sinistra non se ne accorgono o -come dicevo- se ne dimenticano pure subito, significa che il patriarcato è insediato nella sinistra cosiddetta e vera, e che perciò si presenta oggettivamente come sostegno del capitalismo in crisi divenendone il maggiore appoggio. Non chiedetemi di chiamarli compagni, cosa che del resto molti di loro non vogliono nemmeno più.
Tra le espressioni che sono cadute in disuso, elenco: ogniqualvolta correggo “buongiorno a tutti” aggiungendo “e a tutte”, si scusano e non protestano, non sostengono più dire “tutti” oppure “uomo” intendendo anche donna, sanno ormai che replico che allora io dirò donna intendendo anche uomo e vedono che non siamo uguali. Anche le correzioni ministra avvocata ecc. sono accettate, non si dice più che quelle parole non ci sono in italiano perché sanno che rispondo: “quando una parola non c'è e serve, la si inventa nelle lingue vive, solo le lingue morte non possono più aggiungere nulla al loro thesaurus lessicale”, inoltre quando capita non replicano più che la regola grammaticale italiana ecc., perché sanno che le regole grammaticali non sono dogmi, possono essere modificate e che in particolare quella sulle concordanze deve essere enunciata intera e dice: In italiano nelle concordanze prevale (verbo non squisitamente democratico!) il maschile, come genere più nobile. Ma perché noi donne non abbiamo protestato? Perché eravamo analfabete, il che significa che per poter protestare per la violazione di un diritto, bisogna che quel diritto sia affermato come diritto comune, universale.
Lidia Menapace