In merito ai devastanti attentati terroristici di Parigi, intervistiamo l'editorialista del Corriere della Sera ed esperto di politica mediorientale Antonio Ferrari.
– Come legge Antonio Ferrari gli attentati di Parigi?
Come un brutto segnale di grave pericolo. Ora si tratta di mantenerci freddi, per quanto possibile, e di ragionare. Può sembrare paradossale, ma quanto è accaduto a Parigi non è una prova di forza dell'Isis ma, al contrario, di debolezza. È infatti la dimostrazione che lo Stato islamico è in serissima difficoltà sia in Siria sia in Iraq, e quindi colpisce altrove. I bombardamenti della coalizione internazionale, decisamente mirati, hanno colpito duramente e inflitto gravissime perdite. Alcuni villaggi che i fanatici avevano conquistato sono stati liberati. Ora, la brutale reazione dei tagliagole è evidente: colpire alla cieca, dove possono, utilizzando gli affiliati che, dopo essere stati istruiti sul campo di battaglia, sono tornati nei loro Paesi con l'obiettivo di diffondere e moltiplicare paura e terrore.
Gli attentati di Parigi sono purtroppo il segnale di quanto potrà ancora succedere: hanno colpito con spietata determinazione la gente raccolta in un teatro, lo stadio di calcio dove si giocava l'amichevole Francia-Germania, ristoranti, luoghi di divertimento, uccidendo senza pietà. Temo che, a questo punto, saremo tutti costretti a rinunciare a una piccola parte della nostra libertà. Almeno fino a quando questo cancro sarà estirpato.
– C'è un collegamento con l'abbattimento dell'aereo a Sharm El Sheik?
Sì, naturalmente. Anche l'attentato dell'aereo russo, che riportava a casa i turisti dopo la vacanza sul Mar Rosso rientra nella stessa metodologia. In Egitto, probabilmente, hanno usato un altro sistema, forse corrompendo qualche dipendente dell'aerostazione per poter imbarcare, fra i bagagli, anche la borsa-bomba. Stesso discorso, con qualche diversa variabile, per l'attentato di Ankara, durante un corteo pacifista. Si voleva punire la partecipazione della Turchia alla coalizione anti-terrorismo. Diverso, ma ugualmente è significativa la coincidenza, l'attentato alla periferia meridionale di Beirut, nel quartiere di Burj el Barajnieh, oggi roccaforte degli sciiti dell'Hezbollah. È evidente la responsabilità dell'Isis, composto da fanatici sunniti. Quindi, direi che questi fatti sono in qualche modo collegati ai rovesci che sta subendo l'Isis in Siria e Iraq. Infatti, le rivendicazioni sono simili. L'aereo russo esploso sopra il Sinai per punire i bombardamenti ordinati da Putin. Beirut per punire l'Hezbollah, che in Siria combatte a fianco dei soldati di Assad. Parigi, perchè la Francia è uno dei Paesi più impegnati nella lotta al terrorismo internazionale.
– L'Italia è a rischio? Ci sono le condizioni per garantire la sicurezza durante il Giubileo
Non possiamo escluderlo. Vi erano tanti timori nei sei mesi dell'Expo di Milano. Se qualche malintenzionato aveva immaginato di compiere attentati, ha deciso di rinunciare. Le misure di sicurezza erano eccellenti, e sarebbe stato difficile superare i controlli ai tornelli e introdurre armi nell'area espositiva. Certo, il Giubileo è un altro appuntamento ad alto rischio. Le condizioni per garantire la sicurezza vi sono, anche se sarà necessario uno sforzo eccezionale. Confido però nella nostra intelligence. I servizi di sicurezza italiani danno l'impressione di funzionare, come alcuni fatti hanno recentemente dimostrato.
– In queste ultime settimane assistiamo ad una escalation di attentati, Ankara, Sharm El Sheik, Beirut, Parigi. Ora che cosa ci dobbiamo aspettare? Ci stiamo avvicinando ad un terzo conflitto mondiale? C'è ancora, a suo avviso, una via d'uscita per impedire che questo accada?
Come ho detto in precedenza, nessuno è immune da quella che possiamo considerare una guerra strisciante e non tradizionale. Certo, l'immagine di un possibile terzo conflitto mondiale, evocata da tante voci autorevoli, è spaventosa. Ma io credo, in questo momento, che sia necessario fronteggiare il pericolo con ferma lucidità. L'Isis si può vincere sul terreno, ma sarà più difficile estirparlo dalle suggestioni di tanti giovani avvelenati dalla spettacolare propaganda dei terroristi, abili a sfruttare tutte le opportunità della più moderna tecnologia. Ecco perchè, più che le repressione, contano la prevenzione e l'educazione. Tutti poi sappiamo che sarà necessario essere molto vigili, anche a costo di rinunciare temporaneamente -come dicevo- a qualche porzione di libertà
Christian Flammia