Alessandra Altamura
Viaggio in bianco e nero
Edizioni Il Foglio, 2015, pp. 362, € 16,00
Sono stati anni, questi ultimi, in cui Alessandra Altamura ha viaggiato molto, in Europa dapprima, poi negli altri continenti. Ha approfittato di ogni periodo di vacanza dal lavoro scolastico, ha accettato le soluzioni più economiche, pur di viaggiare e conoscere. Da sola. Perché solo così -chiariva qualche anno fa- poteva osservare, selezionare, elaborare immagini e informazioni. Il risultato è un libro che percorre il mondo, in lungo e in largo, in tutte le direzioni della bussola.
Viaggio in bianco e nero, a lettura finita, dà la sensazione che l’Altamura abbia voluto comprendere il mondo dentro di sé, le culture, le tradizioni, la musica, la danza, i cibi, le lingue, la storia di ogni paese, le sue trasformazioni nel tempo, insieme alle miserie del pianeta, quelle della fame, della indigenza estrema, della criminalità organizzata, della guerra. C’è un mondo che vive nell’abbondanza accanto ad un mondo che manca di tutto. Soprattutto a chi manca di tutto va l’attenzione della autrice, con storie di bambini e di adulti, ma i piccoli sono al primo posto perché altri dovrebbero essere i loro diritti. Li può aver incontrati in un centro di accoglienza italiano, con tanto di permessi speciali ad entrare, andando nel nostro Sud, oppure nella favela di Rocinha, la più grande del mondo, una città di lamiere, di cartoni, di sporcizia, di puzzo, di bimbi nelle strade sudicie, di violenza; o li può aver incontrati tra gli intoccabili dell’India, o sotto le capanne di frasche di un piccolo villaggio africano, tutti sono al centro della sua affettuosa attenzione.
Sulle orme di scrittori di viaggio, a cominciare da Erodoto, fino a Chatwin a Kapucinski, la Altamura va ben oltre, come spinta da un bisogno fisiologico, una fame di conoscere, e lo dimostrano non solo le storie create intorno alle esperienze vissute in diretta, ma gli approfondimenti, le innumerevoli finestre che si aprono e aggiungono informazioni. Non c’è niente di trascurato, nemmeno i menù, presentati in lingua del posto e in traduzione. Chi legge dovrebbe procedere lentamente, fermarsi su ogni paese, andare personalmente a approfondire su wikipedia o sull’atlante geografico, insomma fare tesoro delle informazioni. Leggere tutto il libro di seguito invece comporta il rischio di mixare le informazioni, di dimenticare, lasciando che prevalgano solo emozioni di fondo. Che comunque non sarebbe un fatto secondario.
Ma forse la Altamura non voleva scrivere un libro di viaggi solo per far conoscere storie e genti, quanto un libro in cui cercarsi e cercare il suo completamento, insomma realizzare la piena coscienza di sé attraverso il viaggio, arricchita di conoscenza umana e di affinata sensibilità.
E così, trasversale a questi trasferimenti da una parte all’altra del mondo - magari brevi soggiorni ma sufficienti per capire l’anima del luogo - c’è la storia di Bamba e di Celeste, che si intravedono per caso a Kiev, lui giornalista nero nato e cresciuto in Italia, lei bianca dai capelli rossi e dal viso coperto di lentiggini; che poi si baciano a Nizza dove si incontrano di nuovo per caso su una panchina, che poi si amano e si lasciano per dichiarato amore in Albania, ma sono destinati a ritrovarsi ed a viaggiare ancora insieme.
Alla loro storia si lega quella di Drissa, un ragazzino ivoriano che ha perso tutta la famiglia, finito ospite di una Comunità di minori stranieri non accompagnati, che diventa un elemento importante nel loro riavvicinamento, all’interno di un progetto di vita più ampio, dove finalmente tutti e tre, irrequieti e fuggitivi gli adulti, perseguitato dalla disgrazia l’adolescente, possano finalmente trovare equilibrio e realizzazione affettiva.
Marisa Cecchetti