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Angstbar. La purità dell’acqua o il suo stagnare…  
Per una lettura di Grytzko Mascioni. 5
Edward Hopper,
Edward Hopper, 'Stairway at 48 rue de Lille Paris', 1906 
05 Novembre 2015
 

12

 

 

Il protagonista, raggiunto l’ultimo periodo della sua vita, rievoca situazioni del suo passato; situazioni che ricorda con malinconia e rimorso, segnati da uno stile dolente, angoscioso.

Questa vena di tristezza è riscontrabile nella prima parte della poesia sotto due aspetti. Il primo, che ricorre poi anche nella seconda parte, è quello della tardiva “rinascita” del protagonista dal buio dell’alcolismo; le prime immagini ci mostrano infatti un uomo che troppo tardi prende coscienza del proprio problema, ora che la sua vita sta volgendo al termine e nulla è più recuperabile. Il secondo aspetto ruota attorno ad un’aura di distacco, di addio alla vita da parte del poeta. E in questo avvicinarsi della morte l’autore sente la nostalgia per gli aspetti più abitudinari dell’esistenza, le impressioni, i sapori, gli odori.

Il rimorso, la razionalizzazione della brevità della vita sono espressi dall’immagine che chiude la prima parte: la giovane donna (…) illusa da un’estate che non dura.

Nella seconda parte della poesia l’autore riprende il dolore legato all’esperienza di alcolista con una metafora: il tondo lago trasparente offerto dal bicchiere dell’acqua minerale sottolinea proprio la purezza del bicchiere d’acqua, così differente dal liquore che un tempo stava in quel bicchiere.

Intanto il barista sogghigna a quell’avventore che ora si è fatto servire un semplice bicchiere d’acqua, avventore che resta vittima (misero cristo) del suo stesso dramma e che troppo tardi (…) invoca e piange il malsofferto corso della storia. Meglio tardi che mai, ammette, ma l’acqua che sta bevendo torna amara (come il liquore) per ricordargli che, nonostante si sia accorto del suo errore, è ormai troppo tardi. L’ultima parte del componimento è immersa in un’atmosfera quasi onirica; il poeta descrive un carrozzone che si allontana e quindi, metaforicamente, porta via la sua vita.

Efficaci i due versi finali, che lasciano un’aura volutamente sfumata, proprio ad accrescere la malinconia generale dell’opera.

La poesia potrebbe essere considerata come “continuazione” della n° 9, dove il protagonista dà il definitivo addio all’alcol.

 

 

A che sontuoso mondo ora m’avvedo,

lucidi gli occhi dopo la rugiada

che ne dilava l’iride di cispa,

darò in un breve gemito l’addio:

il caffè nero all’alba, il sobrio gusto

del burro e miele sul terrazzo al sole,

la sciarpa se raffredda e fuori piove,

la tortore in amore, il buon sentore

delle carezze sulla pelle tesa

di una giovane donna che si stira

illusa da un’estate che non dura…

Così la familiare ipotiposi

Nel tondo lago trasparente offerto

Dal bicchiere dell’acqua minerale

Si fa disfà, sberluccica e scompare.

Teddy-mefisto mi sogghigna e resto

Quello che ero, un misero cristo,

che troppo tardi, appeso alla sua croce,

con un filo di voce invoca e piange

il malsofferto corso della storia.

Meglio tardi che mai – mormoro, eppure

L’acqua che bevo si è rifatta amara.

Trascorre in una landa sconfinata

la carovana dell’età gitana, la zingara ventura

di una folle stagione innamorata:

è un suono che non torna di chitarre,

di maracas e nacchere, traballa

la carrozza nel nembo polveroso

che lontano

quanto fu cancella.

 

 

NOTE:

vv. 8, 24, 18-19, 16-17: La poesia è in versi sciolti, ma non mancano le quasi-rime o le rime all’interno dello stesso verso (amore–sentore, carovana-gitana, croce-voce, mefisto-cristo. Da notare qui la contrapposizione tra male e bene, in un linguaggio legato alla visione cristiana già presente in altre poesie).

vv. 7, 8, 15, 21, 22: Le allitterazioni di suoni duri enfatizzano la componente malinconica (R e F, R e T, S, R e M, R e N).

vv. 5-6, 8-9, 13-14, 16-17: Gli enjambement spezzano il periodo, evidenziando la difficoltà nel proseguire il discorso.

vv. 13-14: La metafora segna il distacco del protagonista dal mondo dell’alcolismo, mettendo in risalto il contrasto fra la trasparenza dell’acqua e il colore scuro del liquore.

v. 21: Il corsivo è usato esclusivamente per il discorso diretto.

 

*** *** ***

 

 

14

 

 

Questa poesia ritrae il protagonista che si ferma a meditare sulla natura e sull’origine dell’universo e dell’uomo stringendo tra le dita un calice.

Egli osservando la trasparenza del vino nel bicchiere, si abbandona a riflessioni fluttuanti e prive di conclusione incentrate sull’originario costituirsi della pena umana, soffermandosi con l’immaginazione sullo scenario di un big bang originario. L’universo all’inizio è un grumo in coniugati di Etere/caos, immagine che sembra quasi una ripresa della visione di Empedocle, in cui sono contrapposti il Caos e l’Amore: nei periodi di contesa tra queste due entità ci può essere vita, la presenza di uno solo di questi due elementi non porta la vita; quindi questa contrapposizione potrebbe essere intesa come l’Umanità allo stato primordiale ancora inconsapevole del fumo della storia. Una forza inspiegabile dà vita all’esistenza del genere umano: questa è negativa e relega l’esistenza dell’Uomo nell’agonia e nell’invecchiamento, mentre il vapor acqueo si solleva verso il cielo componendo le mutevoli nubi, quindi mentre la storia percorre la sua strada e il tempo passa. Questo sta a definire l’inizio della vita: da un pianeta inospitale appena creato si passa ad un pianeta dove sta per germogliare la vita, grazie alla creazione delle nubi.

Nei versi 17-19 si può ritrovare una visione foscoliana della vita: questa viene intesa non in modo gioioso, ma piuttosto come una sofferenza in attesa della morte che inevitabilmente verrà.

Nel verso 29 il poeta di consacra vittima di fronte al Caso che adempie al suo destino nell’occaso: in questo modo si accetta il compimento del destino; infatti, si tratta solo di ingannare un’attesa “terminale” ineluttabile, di accettare la propria condizione di uomo, di essere fragile di fronte alla morte.

Interessante, è, inoltre, la contrapposizione tra l’immagine di sporco, di non puro che ci viene fornita nei versi 19-20 (del morbo epocale m’incrosto) e i versi 26-27 (stille del lavacro che mi deterge), dove il poeta ci fornisce un’immagine di pulizia e di purezza.

Anche nell’ultimo blocco di versi viene rievocata l’immagine della morte (attesa terminale) e il poeta dopo il diluvio che si è placato vede riflesso nello specchio d’acqua il velo lacrimoso che appanna il suo occhio.

Dopo aver definito sproloquio le visioni escatologiche espresse in corsivo, la poesia si snoda su tre strofe, costituite principalmente da endecasillabi. Si segnala la presenza di alcune rime, alternate e baciate, presenti prevalentemente nella seconda parte del componimento. L’uso molto frequente dell’enjambement (es. versi 5-6, 12-13, 14-15, 18-19), tipico di Mascioni, contribuisce alla frammentazione della poesia e rende bene il momento dell’uomo in preda a un flusso di pensieri non lineari. In questo componimento si può notare la lunghezza dei periodi, composti prevalentemente da frasi coordinate.

Per quanto riguarda l’aspetto fonico si possono notare la presenza di numerose assonanze e consonanze, ma soprattutto di allitterazioni.

 

 

Oso un pensiero, un gesto della mente che

scorpora mentre accovacciato,

le dita strette al calice, mi perdo

nello speco che muove onde dal nulla,

trasparenza che invita al meditare

cieco che indaga la natura vaga

del primordiale farsi della pena,

del fermento che pullula nel lago abissale di

esplose supernove

imago mundi, all’ìncipit del sogno

che ci pare sognare…

 

Liquidamente si disciolse il grumo ililmìte

che innanzi non sapeva

del fumo della storia, inconiugato

Essere/caos: per quale ghiribizzo

Si fece verbo articolato e cosmo,

per cui nato divengo all’agonia

che stria di morte il tempo ove avvizzisco

ansiosamente – e lungovia del morbo

epocale m’incrosto? Raffiguro

la trappola o l’enigma sapienzale

nella forma del mare semovente

da cui vapora l’acqua che risale

iridata a comporre nel cilestre

involucro dell’aria le vaganti

nubi indi scroscia, stille del lavacro

che mi deterge…E in quella mi consacro,

vittima pura che nel puro Caso

adempie al suo destino nell’occaso

che ottenebra lo sguardo vacillante”.

 

Ma è vano lo sproloquio immateriale che

inganna questa attesa

terminale:

le gocciole si placano nel terso

lume dell’acqua in cui s’affoga perso l’occhio

che un velo lacrimoso appanna alla fitta

crudele

che m’azzanna.

 

 

NOTE:

v. 2 Scorpora: smaterializza.

v. 4 Speco: specchio, latinismo.

v. 9 Supernove: stelle.

v. 10 Imago mundi: immagine del mondo – incipit: inizio.

v. 18 Avvizzisco: perdere di freschezza.

v. 24 Cilestre: colore azzurro chiaro, quasi grigio, tipico del cielo.

v. 26 Stille: gocce.

v. 29 Occaso: declino, morte, latinismo.

 

*** *** ***

 

 

15

 

 

La poesia ci propone il momento di chiusura del bar di Teddy. È ormai notte e compare la luna nel cielo; il barman chiude la serranda provocando un forte sconvolgimento interiore al poeta. Teddy spinge il cliente ad uscire verso il nulla.

Il tempo è un altro testimone, insieme alla natura, del cammino del protagonista e sembra volere scandire, lentamente, ogni passo della malattia che lo consuma sempre più velocemente.

L’autore usa parole crude, che aumentano l’inquietudine del lettore, la quale, in fondo, è anche l’inquietudine del personaggio in cui l’autore si identifica, in quel momento, cacciato dal rifugio nel quale fuggiva l’ansia della morte.

Con la chiusura del bar sparisce la tranquillità che quella culla fluorescente gli trasmetteva e nessuna cosa ha più senso. Fuori dal bar non c’è più niente che possa distrarre la sua mente perché per lui nulla ha più senso… dal nulla e dall’angoscia rinasce la sua falsa forma senza un vero senso di uomo. La fasulla forma e il mondo fluorescente indicano la distorsione delle percezioni sensoriali del poeta mentre la figura del “dio da nulla” si riferisce al poeta stesso e alla sua presunzione.

Nella poesia si nota inoltre il passaggio dall’analisi iniziale, operata dall’Io scrittore, di un macrocosmo a quella finale che si restringe al microcosmo dell’autore, analizzato dall’Io alcolista.

Gli ultimi versi risultano di difficile interpretazione: con “carnefice melenso” il poeta vuole probabilmente riferirsi a Teddy che per molto tempo lo ha invitato con le sue parole allettanti ad entrare nel bar, ma ora lascia cadere la serranda come un boia con la sua ascia.

Mascioni torna a descrivere il momento in cui dovrà trovarsi faccia a faccia con il suo problema, con i suoi pensieri, con le sue paure e con le sue domande personificate dalla Sfinge, figura mitologica che evoca il mistero, la morte “eroica” vista come liberazione.

 

 

La sfera del pianeta si rigira,

la luna gli fa scorta,

il tempo si consuma, la serranda

del bar che chiude cade fragorosa,

miseranda mannaia. È giunta l’ora

che rintocca smorta.

la lancia del cronometro ritorta

punge la bolla, la custode culla

che sopiva la foia della veglia

nel dondolio del mondo fluorescente.

E tutto scoppia, ridiventa il niente

da cui bisboccia la fasulla forma

del dio da nulla, l’Io che malamente

sogguarda Teddy e l’uscio ove mi spinge,

carnefice melenso, nel nonsenso

della strada che cela l’accucciato

corruccio di un’eterea

-ottenebrata-

impalpabile Sfinge.

 

 

NOTE:

La poesia è composta da un’unica strofa di versi settenari ed endecasillabi e un quinario.

v. 1 “La sfera del pianeta”: è una perifrasi utilizzata per indicare la Terra, la notte è considerata in chiave allegorica.

v.2 “Gli fa scorta”: è la personificazione soggetta alla luna.

vv. 3-5 “Serranda miseranda che chiude cade fragorosa”: l’autore utilizza l’allitterazione e la rima interna per accentuare la sua angoscia di dover abbandonare il suo rifugio, il bar.

v. 8 “Custode culla”: è il bar considerato infatti da Mascioni un luogo che lo protegge e assopisce in lui il pensiero dell’attesa della malattia.

v. 9 “Sopiva la foia della veglia”: è da notare il contrasto tra la dolcezza della parola sopiva e l’onomatopea dondolio e la decisione di foia e veglia, che possono essere collegate dal senso di agitazione che suscitano.

Foia: termine in disuso utilizzato per indicare l’ansia dell’attesa.

v. 7 Ritorta: un’ulteriore indicazione temporale; la lancia del cronometro che punge la bolla.

L’allitterazione della D accentua il sentimento del poeta per cui tutto sembra diventare il nulla.

v. 15 “Melenso-nonsenso”: rima interna che mette in evidenza il tema centrale della solitudine e del nulla.

Carnefice melenso”: ossimoro.

vv. 16-17 “Accucciato-corruccio”: allitterazione che evidenzia i suoi problemi; l’insistente guazzabuglio di perché che gli si affollano nella mente ottenebrata e a cui non riesce a trovare risposta.

v. 19 Sfinge: personaggio mitologico che soleva fare indovinelli, si suicida quando Edipo risolve il suo enigma.

 

*** *** ***

 

 

19

 

 

La poesia, composta da 38 versi liberi suddivisi in 4 strofe, è caratterizzata da suoni duri e aspri e da enjambement che spezzano il ritmo.

Il tema principale è il percorso della vita metaforicamente rappresentato dall’acqua.

Nella prima strofa il poeta parla della nascita, descrivendola come una sorgente che scaturisce dalla bianca lingua di un ghiacciaio. La purezza della vita è resa attraverso termini soavi come cristalli diacci, densa azzurrità, essenza di gaia trasparenza.

Nella seconda strofa alla limpidezza dei ghiacci fa seguire lo stagnare della palude, a rendere l’opposizione tra la nascita e la morte. È una strofa molto cruda sia per l’idea che esprime sia per i termini sapientemente scelti (verdastra liquida morte, pozza ferma, melma, castra il desiderio, defraudata sete, mordente arsura), che hanno in comune la ripetizione di suoni aspri come la r e la z. Gli ultimi due versi esprimono la sete di vita, che provoca un dolore incurabile, una voglia castrata dalla consapevolezza dell’inevitabile morte.

Nella terza strofa il poeta ritorna all’immagine della vita, ma non più pura e giovanile come quella della sorgente, ma vecchia e stanca, rappresentata dal mare, ultima tappa del ciclo dell’acqua. La sete di esistenza è aumentata dalla salsedine, che brucia in gola al poeta, consapevole della limitatezza della sua esperienza terrestre. Questa idea di vecchiaia è espressa anche negli ultimi due versi, dove è presente una certa tristezza, in quanto lo stanco corpo è costretto a seguire le leggi della natura. Il protagonista è consapevole del tempo che sta passando inesorabilmente (tra l’essere che sta e il tutto che diviene), dei suoi errori passati, l’alcolismo (ingorgo rappreso nelle vene), e dell’impossibilità per la sua ragione di rispondere alle domande sul senso di vivere. Si è anche reso conto che basta pochissimo per rovinare e sfigurare la faccia dell’esistenza, come quando si intinge un dito in un bicchiere d’acqua e la superficie si deforma.

Gli ultimi sei versi, con i termini trema, scompiglia, parapiglia, sfanno logorati, torrido, eritema, esprimono ansia e desolazione, che ci fanno partecipi del dolore del protagonista, consapevole di aver buttato al vento la sua vita e di non poter far ormai più nulla per evitare la morte.




La purità dell’acqua o il suo stagnare…

La sorgente

dai greppi alpini dove si di lingua

bianca la presa dei cristalli diacci

figliati dalla densa azzurittà,

la fonte che ruscellla una sua essenza

di gaia trasparenza.

O la verdastra

liquida morte nella pozza ferma

che un volo di libellule e zanzare

industre sfiora sulla melma. E castra

il desiderio, paludosa attizza

la defraudata sete, la mordente arsura.

O ancora, il mare:

la marea che ruzza

e gonfia al largo sale fin dove l’occhio va,

la salsa infinità

che gruccia in gola,

che dona la misura all’orizzonte,

alla terra che incarcera il tardo

peso che porto.

E l’anima si invola,

fa la spola

nella fluida sostanza di Talete

tra l’essere che sta

e il tutto che diviene.

All’ingorgo rappreso nelle vene,

mi piego sulla coppa infastidito

dall’insapore bibita che specchia

l’abnorme fatuità di una domanda,

l’inutile riscorso all’esperienza

della vecchia sapienza.

Se appena intingi un dito

nel calice che trema e si scompiglia

è un parapiglia

di mondi che si sfanno logorati

dal torrido eritema che sfigura

la faccia della vita.

 

 

NOTE:

v. 1 Stagnare: Assumere aspetto fermo e paludoso da parte di acque superficiali.

v. 3 Greppi: Fianchi brulli e scoscesi di un monte.

v. 4 Cristalli diacci: Ghiacciaio cristallino; assonanza (alli-acci) che crea un’idea di rara purezza.

v. 6 La fonte che ruscella: Esprime un’idea di incessante movimento, che è simbolo di vita.

v. 7 Essenza di gaia trasparenza: (rima) Definizione di vita, resa attraverso l’unione di un termine che esprime felicità e uno che indica purezza.

v. 9 Verdastra liquida morte: Sinestesia che unisce il senso della vista (verdastra) con il tatto (liquida) per evidenziare la dura realtà della morte.

Pozza ferma: si riferisce alla palude e metaforicamente alla morte. È ferma perché non c’è più traccia di movimento e quindi di vita. È in contrasto con l’espressione fonte che ruscella.

v. 15 Marea che ruzza e gonfia: Esprime ancora un’idea di movimento ma non più puro e cristallino ma caotico e tumultuoso, come può essere la vita in età adulta. Il termine marea viene utilizzato per indicare una grande massa d’acqua in movimento ma, è sicuramente da notare che il poeta utilizza prima il termine mare e poi il termine marea, che sembra quasi essere il sostantivo femminile di mare.

v. 17 Salsa infinità: Il termine infinità, che letteralmente significa quantità incredibile, è un iperbole per indicare la grandezza smisurata del mare, che però è pur sempre limitato, come la nostra vita.

v. 20 Tardo peso: Il poeta esprime nuovamente la consapevolezza della sua vecchiaia, definendo il suo corpo come un peso senza vitalità.

v. 24 Fluida sostanza di Talete: È una perifrasi. L’acqua, che per il filosofo era l’archè del mondo, è per il poeta la vita.

Talete filosofo dell’antica Grecia, il primo di cui si hanno frammenti scritti, individua l’acqua come principio primo, da cui tutto si genera e grazie al quale tutto vive. Il poeta riprende poi Eraclito, filosofo greco successivo a Talete, che indica come principio primo il divenire.

v. 27 Ingorgo rappreso nelle vene: (diviene-vene: si noti la rima) Cruda immagine su come l’alcolismo lo abbia distrutto fisicamente portandolo ad un’inevitabile morte.

v. 28 Infastidito dall’insapore bibita: Il protagonista è deluso perché non può più bere alcolici, ma anche per il poco tempo che gli rimane.

v. 30 Abnorme fatuità: L’espressione si riferisce all’inutilità d interrogarsi sul senso della vita, una domanda alla quale nemmeno con la saggezza si può trovar risposta.

 

 

Per una lettura di Grytzko Mascioni

5SEGUE...

 

 

Cristina Pedrana e Gianluca Moiser (a cura di)

Tanto per dire non è stato invano

I ragazzi del Liceo Donegani di Sondrio leggono Grytzko Mascioni

Associazione “Grytzko Mascioni”, 2007, pagg. 188


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