Niccolò Ammaniti
Anna
Einaudi, pp. 284, € 19,00
La fama più che giustificata di Ammaniti ha portato questa sua ultima opera in cima alle classifiche in un batter d’occhio. Ma sinceramente non lo merita.
Stimo Ammaniti come scrittore, ho letto tutte le sue opere, alcune delle quali come Io non ho paura indimenticabili. Ammaniti ha una scrittura semplice e piana, comprensibilissima a chiunque.
In questa sua ultima opera ha voluto affrontare il tema, semplice ed aspro in pari modo del dayafter. Ed è piombato nella più tetra banalità. Forse è il confronto con il sublime La strada di Corman Maccarthy (l’ispirazione è certa) che lo penalizza. Nel romanzo di Corman Mccarthy il disastro (probabilmente un’esplosione nucleare) devasta l’America ma vi sono uomini ancora vivi, lotte tribali e rimasugli di civiltà. E l’epilogo è un atto di speranza.
Nel romanzo di Ammaniti un virus sconosciuto attacca i “grandi” cioè gli uomini e le donne sopra la pubertà, li uccide spietatamente e dolorosamente, mentre risparmia i bambini. “la Rossa” così viene chiamato il virus è implacabile e si manifesta con delle macchie rosse sulla pelle. Chi le presenta è spacciato e non gli rimane che una morte atroce. Sopravvivono i piccoli e presto si organizzano in bande che scorazzano, depredano e saccheggiano tutto il cibo che possono trovare.
Il contesto che Ammaniti sceglie è una Sicilia devastata e distrutta. Non resta più nulla. Le case sono svuotate, l’immondizia è ovunque e il cibo ormai scarseggia. Anna, la protagonista ha assistito la madre morente che, con lucida coscienza di ciò che sarebbe successo dopo la sua morte, lascia alla figlia un duplice compito: sopravvivere e salvare con sé il piccolo Astor, non ancora quattro anni. E scrive su un quaderno le cose che si devono fare e quelle che non si devono fare. Un viatico che Anna deve seguire passo passo.
La mamma muore e il suo corpo scheletrito viene trascinato da Anna e sepolto nella terra vicino al mare. Poi comincia il viaggio doloroso che, nelle intenzioni di Anna, avrebbe dovuto condurli oltre lo Stretto nella speranza (vana) che nel continente la Rossa abbia risparmiato i grandi.
Il viaggio ha in sé qualcosa di allucinante e di surreale, soprattutto quando Astor viene rapito dai bambini azzurri e va a far parte di una loro banda. Anna deve recuperare Astor, sfida pericoli immani e partecipa alla cerimonia della festa del fuoco e del sacrificio della Picciridunna che avrebbe dovuto portare alla salvezza. Alla fine, il suo compagno Pietro muore (perché attaccato dalla Rossa avendo superato la pubertà) e Anna si trova da sola con Astor e il cane Coccolone ad affrontare la traversata dello Stretto. Inutile perché di là è tutto come di qua: morte e desolazione.
Ammaniti è un bravo scrittore, mantiene la lucidità e una freddezza glaciale anche nelle descrizioni più brutali. Ma si lascia prendere la mano dall’amore per il macabro e l’osceno, nel senso del non presentabile. La scena di Anna che lega una corda al teschio della madre e la trascina giù dal letto e dalle scale per portarla alla sua precaria sepoltura è esemplare. E ci sono ossa dappertutto, al collo dei bambini a mo’ di ghirlande, come bastoni da battaglia, nelle strade, ovunque. Il mondo (la Sicilia) come grande immondezzaio e tomba a cielo aperto. E i personaggi infantili rappresentati sono osceni nella loro bruttezza e decomposizione, osceni perché irreali e deformati come dei pupazzi zombie.
Ho fatto fatica a finire la lettura di questo romanzo inquietante e a suo modo impudico. C’è una pornografia che non rappresenta il sesso ma gioca con il corpo umano e lo deforma, fino a toglierli ogni dignità e compostezza.
Il libro si chiude con un filo di speranza: il ritrovamento delle scarpe Adidas cui Pietro aveva attribuito un significato salvifico e liberatorio.
Ma questo è un romanzo spietato e, ripeto ancora una volta, che gioca con il macabro per il gusto del macabro.
Non mi è piaciuto, spero che non sia l’ultima voce di Ammaniti.
Mario Lucchini